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RECENSIONE FILM C'È CHI DICE NO

C'È CHI DICE NOCRITICA a cura di Olga di Comite: Iniziata come una vendetta di sapore goliardico, l’azione del film vira verso il dramma, o per lo meno il serio, nella seconda parte. La debolezza di quest’opera di Avellino (collaboratore e regista di Ficarra e Picone) sta proprio nel non esser riuscito a dare il giusto peso al problema che la sua commedia sociale voleva mettere in scena.

Risulta così, più vivace e riuscita, la parte dei tentativi di lotta ai raccomandati, ideata dai protagonisti per mezzo di persecuzioni varie verso i responsabili dell’ingiustizia. Invece senza nerbo, rassegnato, privo di proposta è tutto quello che riguarda un problema di molta importanza e diffuso non soltanto in Italia. Vero è che da noi l’albero non smette un minuto di sfornare i suoi frutti avvelenati.

Ma parliamo dei fatti narrati per far capire meglio al lettore. Tre giovani, Max (Luca Argentero), Irma (Paola Cortellesi) e Samuele (Paolo Ruffini) si trovano proprio nel momento della conquista di un meritato riconoscimento al proprio lavoro di anni, a veder compromessi i loro diritti perché il raccomandato di turno li sorpassa e li batte. Sono questi ultimi i giovani nati con la camicia: figli, nipoti, mogli, amanti e così via dei vari potentati negli ambiti professionali più diversi. Ma i tre battuti sul filo della raccomandazione non ci stanno. Inventano e portano a termine azioni di vendetta più o meno comiche ed efficaci, gettando lo scompiglio nelle famiglie e nelle coppie dei loro sopraffattori e acquistando via via coscienza che non ci si può fermare allo scherzo crudele. Nasce perciò l’idea di organizzarsi e creare un movimento di protesta.

Da questo momento il film comincia a perdere di efficacia, si fa scontato, al problema senza soluzioni si oppone l’italica rassegnazione e la reazione dei privilegiati ha la meglio facilmente sulla frustrazione dei ribelli che da persecutori ridiventano perseguitati. Non mancano anche in questa parte dell’azione momenti efficaci come l’ultima trovata (le ombre incappucciate e silenti) o brani poetici che muovono a tenerezza (del resto come non innamorarsi di Luca Argentero?). Ma questo risvolto dei sentimenti fa perdere compattezza al film che vorrebbe essere insieme commedia intessuta di comicità, presentazione e analisi di un problema sociale (la lotta tra merito e privilegio), una storia sentimentale che serpeggia qua e là.

La colonna sonora indovinata come sempre nei film prodotti da Cattleya, la fotografia grandangolare delle atmosfere fiorentine, la bravura discreta di Paolo Ruffini, il gran mestiere di Albertazzi nel ruolo di un barone universitario salvano il prodotto dalla mediocrità. E’ giusto però sottolineare che siamo nell’ambito di qualcosa che guarda soprattutto al mercato, alla moda, alla notorietà televisiva di alcuni attori tutti da sfruttare (vedi Paola Cortellesi).

Accade così che C’è chi dice no finisce per soffocare nel solito “La realtà non si abbatte e non si cambia” quello che poteva essere un veicolo tra i più efficaci per suggerire una novità nell’esito di una improvvisata rivolta. D’altra parte siccome le nostre cose in fatto di cattivi costumi sono piene di anomalie, la fonte di questi film tarderà molto ad esaurirsi: quindi ben venga la protesta almeno sotto spoglie di commedia piuttosto che il silenzio. Olga di Comite
VOTO:

 

CRITICA a cura di Roberto Matteucci: “Fuori c’è il nulla. No fuori c’è la fila”. Giambattista Avellino dopo averci raccontato le avventure di Ficarra e Picone in La matassa e Il 7 e l’8 vuole ironizzare su un vezzo planetario: la raccomandazione.

Due ragazzi ed una ragazza hanno frequentato il liceo insieme. Anni dopo si ritrovano con delle carriere mozzate perché all’ultimo momento arriva sempre il figlio di papà a rubargli il posto. Il film è specializzato nella raccomandazione generazionale. Non tratta della raccomandazione politica, ben più dannosa. L’infausto voto di scambio, perpetrato in tutti i livelli, è causa di una corruzione mai scoperta. Aver dimenticato questo elemento permette al film di essere meno polemico e più banale. Gli ambienti presi in considerazione si distinguono, da sempre, per un nepotismo sovrabbondante: un giornale, l’università e l’ospedale. L’università è regno di scandali vergognosi, il cui silenzio e la cui accettazione passiva ha avuto come conseguenza una depauperazione ignobile del livello culturale. I giornali sono pieni di firme “casualmente” omonime di altri giornalisti di età maggiore. Negli ospedali la nomenclatura dei primari spadroneggia in scelte pericolose e di dubbia opportunità. Sono tre esempi; nulla cambia in tanti altri settori: anche i poliziotti si lamenteranno delle raccomandazioni necessarie per progredire nella carriera in polizia, solidarizzando interiormente con i ribelli.

Un film ironico, moderato, ma pungente come una zanzara morta. Si parte dal solito carosello: la APT coinvolta è quella di Firenze. Stupende cartoline della città ci riportano la voglia di passarci un weekend, forse poco efficaci per la trama, ma certo utili al turismo della città di Matteo Renzi. Le immagini si riempiono di luce accecante fino a stordirci. Nonostante l’abbaglio è impossibile non notare la pubblicità ‘’sublimale’’ di cui il film è saturo.

L’idea del film è originale come una borsa Louis Vuitton comperata sulla spiaggia. Come in Delitto per delitto di Alfred Hitchcock, per eliminare eventuali sospetti i ragazzi si scambiano le vittime. Al posto dell’omicidio qui subentra il reato più fashion del momento: lo stalking. Con abili ed ironici trucchi i tre aspiranti al posto fisso riusciranno temporaneamente ad avere la meglio, ma la sconfitta finale è inevitabile. I loro gesti saranno la base per una scuola di lotta e si costituirà un movimento di protesta contro i raccomandati.

Fra frizzi e lazzi il film scorre diretto verso la fine. I personaggi sono brillanti fra loro, meno credibili nelle loro avventure para goliardiche. Il motivo è l’improvviso arrivo sulla scena di passaggi intangibili, dalle molte interruzioni. Un bacio strappato sullo sfondo del Ponte Vecchio è ironico come un discorso della regina Elisabetta.

Il regista è incapace di creare un autentico conflitto generazionale, vera causa della raccomandazione padre e figlio. Nonostante tutto il film si segue in modo leggero e chiaro, anche grazie alla presenza dell’unico attendibile cattivo: il cinico ma intelligente, il Barone De Rolandis, interpretato come un maestro da Giorgio Albertazzi. Roberto Matteucci
VOTO:

 

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