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CENNI DI STORIA DEL CINEMA ATTRAVERSO GLI INTERPRETI.
DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI '60

A cura di Pierluigi Capra

CENNI DI STORIA DEL CINEMA A CURA DI PIERLUIGI CAPRARubrica a cura di Pierluigi Capra sulla Storia del Cinema attraverso gli interpreti, dal Cinema muto agli Anni '60. La prospettiva che si pone questa rubrica è il cinema visto dalla parte degli interpreti. Spesso si esalta il lavoro dei registi che inventano, studiano, creano il film, ma a decretarne il successo è determinante l'interpretazione degli attori, delle attrici, dei divi, delle star. Sono gli interpreti che anticipano i modelli estetici, che ci richiamano alla mente i film, ci mettono in rapporto con il cinema. Sono i divi, specie quelli cui si rivolge l'interesse di questa rubrica, che riflettono la dimensione ultraterrena, olimpica, eccessiva, trascendente del cinema. Nella loro fisicità e nel loro splendore sono comete che attraversano il mondo dorato della finzione cinematografica. Diventano quasi eroi esemplari, modelli di bellezza, miti di giovinezza. E' l'attore che ruba qualcosa al momento in cui il film è stato prodotto, lo custodisce gelosamente al riparo del tempo e ce lo restituisce, nel momento in cui lo vediamo o lo rivediamo. Il divismo europeo, e ancor più quello americano, ci fa vendere le star modificando la loro reale identità: i confini tra personaggio e interprete si vanno sempre più assottigliando fino a confluire in una precisa identificazione. Sono proprio gli interpreti che mantengono vivo il ricordo della pellicola nella mente dello spettatore, specialmente nel primo cinema fino agli Anni '60, in un'epoca in cui le proiezioni cinematografiche conservavano ancora intatta la loro caratteristica di evento pubblico non essendo ancora fruibili in un contesto domestico privato e non essendo ancora diffusa la televisione. Aumenta la possibilità di identificazione, di imitazione e di riproduzione del gesto divistico anche nella vita quotidiana: la pettinatura, gli abiti, le pose gli atteggiamenti, i movimenti del corpo diventano fenomeni che si diffondono proprio grazie alle star del cinema. In campo femminile le dive che sono emerse da classi sociale modeste, assumono un ruolo pubblico ancor maggiore; incarnano la possibilità di affrancarsi da una condizione socialmente subalterna. C'è un non so che di imperscrutabile, indefinibile, languido, ineffabile nelle immagini degli attori. Dall'alto del loro Olimpo i divi del cinema, fossero di Hollywood o di Torino, hanno contribuito indubbiamente a delimitare i confini del gusto e dell'etica, del bello e della tradizione, della morale e del costume nella cultura del nostro tempo. Buona lettura.
BREVE STORIA DEL CINEMA MUTO
Louis e August LumiereIl cinema nasce ufficialmente con una rappresentazione pubblica a pagamento, nel seminterrato del "Gran Caffè" (al Salon Indien), sul Boulevard-des-Capucines a Parigi il 28 dicembre 1895. L'ingresso costava 1 franco; il primo giorno vennero incassati 35 franchi, ma tre settimane dopo si arrivava già a 2000 franchi al giorno. I fratelli Louis e August Lumiere proiettarono alcuni brevi film con immagini in movimento: L'Uscita dalle officine Lumière (Sortie des ouvries de l’usine Lumière) e una farsa intitolata Il giardiniere, che divenne poi L'innaffiatore innaffiato (L'arroseur arrosé), considerato oggi il primo film di finzione della storia del cinema: la storia di uno scherzo fatto da un ragazzo a un giardiniere che sta innaffiando un giardino. In seguito fu girato un altro breve film divenuto celebre, L'Arrivo di un treno alla Gare de la Ciotat (L'arrivé e d'un train à la Gare de la Ciotat): si vede la stazione, una signora con un grande cappello, il treno che giunge e si dirige verso la macchina da presa. La scena, secondo quanto si racconta, provocò il panico nella sala di proiezione tra il pubblico ancora incapace a distinguere tra finzione e realtà. Una scena di indubbio realismo. In Italia, al nord Vittorio Calcina e al sud Francesco Felicetti, svolsero lo stesso ruolo promozionale, organizzativo e di realizzazione delle proiezioni filmiche l’anno dopo: nel 1896. Sia il romano Felicetti, sia il torinese Calcina, erano fotografi ed entrambi utilizzavano la sala di proiezione anche come studio fotografico. In seguito furono costruite sale cinematografiche più grandi e numerose, per raggiungere un pubblico di livello economico maggiore (dette nickel-odeons perché il biglietto d'ingresso costava un nickel, cioè 5 centesimi di dollaro), che affiancarono le sale tradizionalmente dedicate agli strati più poveri della popolazione. Il cinema si stava imponendo come fenomeno di cultura e di costume, la sua influenza si esercitò sui comportamenti individuali e collettivi, sulla moda, sulle scelte morali e sociali, sui gusti. Vedere immagini in movimento proiettate su uno schermo accompagnate o meno da parole, musiche, suoni costituisce una innovazione estetica e tecnologica tale, da scompaginare addirittura le concezioni spaziali e temporali precedenti. Si può ben dire che il cinema, una volta entrato nella prassi abitale dell’uomo, abbia stabilito sconosciuti rapporti con la realtà circostante, nuove abitudini mentali. Era il realismo della rappresentazione che colpiva il pubblico meravigliandolo, << era la naturalezza e la verità degli oggetti e dei personaggi semoventi che costituivano il fascino e la novità dello spettacolo >> come scrive Gianni Rondolino. L'attrattiva sottile di osservare accuratamente fatti e situazioni come se fosse la prima volta, come se ci si accorgesse improvvisamente che anche gli aspetti più ordinari, secondari e trascurabili della quotidianità hanno un significato e una funzione. Proprio nel periodo del muto nasce la maturazione, la ricerca, la sperimentazione che anticipa i modelli estetici e la tematica del cinema che verrà ampiamente sviluppata con successo e larga diffusione più tardi. Il difficile equilibrio tra industria e arte nel cinema è caratterizzato dalla compresenza dei film di Ince e Sennett da una parte e David Wark Griffith dall'altra. Infatti quest'ultimo è stato definito, dalla maggior parte degli storici, il primo originale rappresentante "dell'arte del cinema". Mentre il primo "teorico del cinema" viene da tutti considerato Ricciotto Canudo. Negli anni del muto, a ben vedere, non c’è sostanziale differenza tra le produzioni europee e americane, sono simili nei contenuti, correlati nelle forme, c’è una stabilità tecnico-espressiva, uno standard formale che accomuna tutte le cinematografie dell’epoca. Sarà l’avvento del sonoro e la comprensione delle lingue che farà nascere la "cinematografia nazionale" mettendo maggiormente in risalto peculiarità, Charlotcaratteristiche, tipicità, originalità e fiero orgoglio dei singoli paesi. Con la sua vertiginosa diffusione il cinema divenne una attività industriale, in cui valevano le regole economiche della concorrenza; tutti i fenomeni connessi al cinema, tra cui il divismo, sono conseguenza di questa caratteristica di fondo. Quando si pensa al cinema muto ci viene in mente Ridolini, Charlot e le dive che roteano gli occhi, ma agli inizi non esisteva un modo di narrare per immagini per cui il cinema non poteva far altro che ispirarsi al teatro e la recitazione, in mancanza della parola, doveva per forza essere esagerata, spinta all'eccesso, enfatica. Solo negli anni '20 i critici tendono a stigmatizzare questo tipo di interpretazioni infiammate, si può dire che dopo Assunta Spina si afferma una formula recitativa più sobria, composta, raffinata che non ha più bisogno di andare sopra le righe per far passare il messaggio cinema. Che cosa fa la forza di convinzione e di coinvolgimento, l’evidenza realistica dell’immagine filmica del cinema muto, la sua credibilità assoluta? Essenzialmente il movimento! E’ il movimento che conferisce all’immagine degli oggetti e dei personaggi una corporalità, un peso, un volume, che la stacca dal piano, che la schiude ad un’esistenza quasi autonoma. Il movimento assegna verità alla ricostruzione cinematografica, non è indispensabile la parola. E’ dall’indipendenza delle inquadrature tra loro, o meglio dalla scelta delle immagini frammentate che nasce la possibilità espressiva del cinema e che << il cinema nacque in quanto arte >> come afferma André Malroux. E’ la ricerca delle immagini, la successione delle immagini significative che definisce il cinema. Secondo René Clair gli eroi dello schermo nel cinema muto, << parlavano all’immaginazione dello spettatore con la complicità del silenzio >>. Il primo studioso del muto, Sebastiano Arturo Luciani, individua nel nuovo mezzo le enormi possibilità del fantastico cinematografico. Per lui << luce e ritmo sono i principali ordinatori della nuova arte >>. Si scopre la sconfinata libertà che consente il cinema, la capacità di rappresentare argomenti fiabeschi e fantastici, che il palcoscenico del teatro non consente. Le ombre e le luci dei film determinano effetti dinamici mentre fino ad allora si conoscevano solo gli effetti statici del disegno e della pittura. Il cinema è, in ordine di tempo, la prima arte dello spettacolo realmente popolare. La musica poi diventava l’elemento necessario per la perfetta integrazione di tutti gli elementi. E quando entrerà la parola, indissolubilmente legata all’immagine, si formerà "una coppia espressiva" il sui significato sarà capito da tutti, molto di più di qualsiasi testo letterario scritto. Naturalmente la polemica era viva anche allora. Le discussioni su che cosa doveva essere il cinema erano pressanti. D'Annunzio e Canudo privilegiavano il realismo. Per il regista Baldassarre Negroni << il cinematografo è essenzialmente visione, ma è visione non solamente di monumenti o di belle messinscene, ma di fatti umani >>, per la buona riuscita di un film è essenziale soprattutto << dare riproduzioni fedeli della vita quale la si vive >>. Il cinema divenuta fenomeno sociale non più solo rivolto al consumo delle classi meno agiate, ma business e anche riutilizzo delle professionalità prima legate al teatro e al varietà. Comincia a essere considerato arte e dunque sottoposto all’attenzione dei critici e degli intellettuali. Tra i primi a occuparsi esteticamente del cinema è in Francia, il già citato, Ricciotto Canudo che nel 1911 espone le sue idee nel "Manifesto della settima arte" (Manifeste de la Septième art): per la prima volta si argomenta sul cinema inteso come arte, e come arte totale sull’esempio del modello wagneriano. << La settima arte concilia tutte le altre >>. Se l’Italia produce, nel solo 1913, quasi 500 film significa che il cinema ha davvero "contaminato" tutti gli ambienti. Qualcuno teme la concorrenza che il cinema porterà al teatro, ma presto tutti capiranno che si tratta di due cose ben distinte con precisi significati, specifici linguaggi e particoGuido Gozzanolari valori. Il cinema non è nato come corollario del teatro, ma come forma d’arte a se << con una propria grazia ardita e profonda >> come ebbe a dire Nino Oxilia già nel 1913. Una forma d’arte nuova ancora esitante e indecisa, ma che cerca già di individuare << la forma concreta della verità in certi suoi atteggiamenti tipici >>. Il cinema per Oxilia era << sole, luce e bellezza >>. Mentre Guido Gozzano aveva un’idea ben diversa del cinema agli esordi, lo considerò, in un’intervista del 1916, << un’industria di celluloide. Una cortigiana molto ricca che sa camuffarsi, ma l’imitazione della principessa resta pur sempre un’imitazione >>. Comunque anche Gozzano pensava ad una sua successiva evoluzione verso il cinema come << nastro prodigioso >>. Il muto in effetti ce la metteva tutta per apparire davvero arte a volte composta di eccentricità e raffinatezza, altre volte assoggettata alla profondità del significato umano. Era una forma di spettacolo artistico non solo per quello che diceva, ma anche per ciò che suggeriva o semplicemente sussurrava, per il misterioso fascino che emanava, per l’entusiasmo che destava nella gente più semplice. Il cinema dà l’illusione della realtà senza esserlo, dà anche un’impressione di consistenza, trasmette contenuti che mai potranno essere comunicati dalla parola scritta con tanta evidenza, tanta forza e ricchezza di dettagli. L’immagine può condensare in un’inquadratura molte più cose di quante se ne potrebbero descrivere in molte pagine scritte. Durante il periodo del muto le pellicole in genere erano accompagnate, durante la proiezione, da un commento sonoro dal vivo, tramite un complessino o un rumorista, più spesso un pianista. Durante la proiezione, il pianista sottolineava le azioni che erano proiettate sul telone, suonando a suon di ragtime (il musicista Scott Joplin ad esempio fece questo di mestiere) o servendosi di altre musichette d’accompagnamento, molte volte improvvisando. Alcuni film prevedevano invece una partitura musicale propria, composta appositamente. Ad esempio la partitura di Edmund Meisel per La corazzata Potëmkin di Ejzenstejn; quella di Antheil per Ballet mécanique di Léger; quella di Hindemith Metropolisper Vormittagsspuk di Hans Richter. Il cinema muto degli anni '20, che vede imperversare in Italia Maciste e Leda Gys, produce nel resto del mondo capolavori assoluti e gode della massima espansione espressiva e produttiva. Basti pensare ai capolavori dell’espressionismo tedesco di Robert Wiene (Il gabinetto del dottor Caligari del 1920), Fritz Lang (Metropolis del 1926) e Friedrich Murnau (Nosferatu il vampiro del 1922) oppure alla produzione statunitense: Il monello e La febbre dell'oro di Charlie Chaplin, Rapacità di Eric von Stroheim (1924), La grande parata di Kong Vidor (1925). In Francia René Clair gira Entr’acte. In Russia realizzano le loro più acclamate opere registi come Dziga Vertov, Sergej Ejzenstein, Vsevolod Pudovkin, Grigorij Aleksandrov e Alezandr Dovzenko. Carl Dreyer gira nel 1928 La passione di Giovanna d’Arco, Luis Bunuel produce il suo primo film Un Chien andolou nel 1929 che divenne il manifesto dei surrealisti parigini. La parola al cinema arriverà con Il cantante di Jazz di Alan Crosland, il 27 ottobre 1927 negli Usa. Prodotto dalla Warner Bros e dalla Vitaphone e tratto da una piece di Samson Raphaelson, protagonista Al Jolson. E’ la storia del figlio di un rabbino che si dedica al varietà. Fu il primo film con dialoghi sincronizzati. Vengono pronunciate in tutto meno di 350 parole. In tutto il 1928 su 820 film prodotti negli Usa soltanto 10 sono sonori a tutti gli effetti cioè contengono musica e parlato. E di tutte le 22.300 sale circa 200 sono attrezzate per proiettare il sonoro. Il primo film sonoro realizzato in Italia e distribuito nelle sale è considerato La canzone dell’amore di Gennaro Righelli, realizzato a Roma dalla "Stefano Pittaluga" nei cantieri Cines e tratto da una novella di Luigi Pirandello intitolata, ironia della sorte...In silenzio! Gli attori che lo interpretarono furono: Isa Pola, Elio Steiner e Dria Paola. Fu presentato in anteprima al "Supercinema" di Roma il 7 ottobre 1930. Già nel 1928 però un cortometraggio parzialmente sonoro è stato girato a Torino dalla Fert, si tratta di Napoli che canta con la direzione artistica di Mario Almirante e le scenografie di Giulio Botto, che venne poi interamente sonorizzato nel dicembre del 1930. Il primo film parlato, secondo Riccardo Redi, dovrebbe essere stato Nerone di Petrolini e Blasetti nel novembre del 1930. Mentre il primo doppiaggio in italiano pare sia stato fatto sul film Milione di René Clair e realizzato presso gli stabilimenti Caesar di Roma, diretto da Giorgio Mannini e terminato nel marzo del 1932. Il canto del cigno del cinema muto, il Italia, si può dire che sia rappresentato sostanzialmente da due film: Sole di AlessCharlie Chaplinandro Blasetti del 1929 e Rotaie di Mario Camerini del 1930. Pur nella relativa modestia dei loro risultati segnano comunque una svolta nel cinema italiano anche perché hanno avuto il merito di imporre all’attenzione degli spettatori figure nuove del contesto sociale: operai all’interno di una fabbrica, contadini veri, passeggeri di un treno all’interno di una carrozza di terza classe. La strada è aperta il muto appartiene ormai alla storia passata. I film muti non circolano più e soprattutto in Italia saranno destinati ad un rapido, quanto ingiustificato, oblio. Charlie Chaplin più di ogni altro, si dimostra contrariato. Parla di << attacco alle tradizioni della pantomima >> da lui creata e che, secondo lui, rappresentava l’essenza dell’arte cinematografica. Pensava che riuscisse a sopravvivere poiché << solo nel cinema muto – diceva – c’è la poesia del gesto >>. In effetti il "linguaggio silenzioso" del cinema pionieristico ha tuttora grande fascino e mantiene intatto un valore essenziale.
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BIOGRAFIA DI ASTA NIELSEN
Attrice danese, figlia di una lavandaia di Copenhagen, nasce, con sangue zingaro, nel 1883. Le sue prime esperienze furono con il teatro. I suoi esordi cinematografici risalgono al 1910, quando la Nielsen ha 27 anni e gira il suo primo film Abisso di Urban Gad (suo marito fino al 1914) dove interpreta la parte di una "donna perduta" che fu una vera e propria rivelazione. Poi fece il film La ballerina nel 1911 con il regista danese August Blom. Alla fine del 1911 lascia la Danimarca insiema a Gad e si trasferisce in Germania fino alla fine degli anni '20. Con il film Alla porta del carcere del 1912, dimostra già di aver capito che le contorsioni abituali degli attori dell’epoca sono controproducenti. Lei infatti punta tutto sul linguaggio della gestualità, sulla ricchezza delle espressioni mimiche, sull’intensità dello sguardo ipnotizzante e sulla sottintesa pulsione erotica. Impostò su nuove basi la su presenza sul set, liberandosi dei condizionamenti della postura. Alta, slanciata, sensibilissima, con grandi occhi sognanti, tra il 1910 e il 1914 gira circa 30 film per lo più melodrammi a sfondo erotizzante. Quando le luci si spengono e appare sullo schermo, proprio nel primo film Abisso, la figura danzante dal volto bianco e dalla capigliatura corvina e ribelle di Asta Nielsen; si sprigiona, scrivono i critici di allora, una carica erotica che per quei tempi era considerata altamente sensuale. Diventa il prototipo della donna Vamp che costituirà una delle costanti del successivo divismo cinematografico, sopratutto americano. I suoi film erano considerati per adulti. Gli spettatori restano affascinati dalla potenza espressiva di quella figura: il comico Olaf Poulsen dichiara di << aver avuto l'impressione di essere stato colpito da un fulmine >>. Fu il primo esempio clamoroso di lancio divistico di un'attrice in Italia e in Europa. Già nel 1911 in Italia si parlava della Nielsen come della "Duse della cinematografia", mentre in Francia veniva definita la " Sarah Bernardt scandinava". Nei suoi film rappresenta la donna volitiva che affronta a muso duro un mondo soffocante e bacchettone che si batte strenuamente per smantellare il controllo sociale esistente sulla donna. Un certo tipo di pubblico femminile riconosce in lei il simbolo della riscossa e le esprime solidarietà. Negli Stati Uniti, dove l’attrice fonda una società di produzione nel 1920, la sua recitazione viene giudicata come << un grido dal profondo dell’anima >>. Orientò il suo cinema verso una drammaturgia meno scontata affrontando testi e temi di più profonda risonanza umana e sociale anche se i motivi principali del suo successo sono dovuti, come scrive Gianni Rondolino alla << provocazione erotica e all'anticonvenzionalità del tratto >>. Gira nel 1919 Rausch (Ebbrezza) di Ernest Lubitsch tratto dal romanzo "Delitto e delitto" di Johan August Strindberg. Con lo stesso regista Lubitsch ha girato anche il film Nel turbine. Affronta anche l'avventura di vestire panni maschili per un Amleto diretto da Sven Gade, nel 1920. Rivela il meglio di se nei film La signorina Giulia (Fraulien Julie) del 1921 tratto, dall'omonimo dramma di Strindberg e Vanina di Arthur von Gerlach del 1922 tratto dal racconto "Vanina Vanini" di Stendhal. Nel 1924 non può mancare una parte impegnata con Helda Gabler tratto da Ibsen, per la regia di Frank Eckstein. Eccellente l'interpretazione del personaggio di un'assassina accaAsta Nielsennto a Greta Garbo, nel 1925, nel film di Pabst, La vita senza gioia, massacrato dalla censura e uscito in Italia col titolo L'ammaliatrice. Con il film Tragedia di prostitute per la regia di Bruno Rahn, nel 1927, si distingue per l'alto livello interpretativo raggiunto. Si può dire che la nascita del divismo europeo coincide con il debutto della Nielsen; l'attrice attraversa oltre vent’anni di storia del cinema affermando l'immagine di una donna non bella ma affascinante, attrice vera, intelligente, oppressa da un destino avverso al quale reagisce imponendo il riscatto di creature deboli e maltrattate. Dominatrice del cinema europeo, elogiata e studiata da tutti, con l'avvento del sonoro torna a recitare a teatro in Germania, instancabile e bizzarra come sempre. Molti personaggi eminenti del cinema definiscono la Nielsen come << la più geniale attrice che lo schermo abbia mai avuto >>. Per non aderire al nazismo con un atto di coraggio torna in Danimarca. Nel 1972, a 89 anni, sposa un gallerista di 18 anni più giovane di lei. Muore nello stesso anno.
 
BIOGRAFIA DI ANNA MAGNANI
Anna MagnaniLei non è una delle tante è l'attrice anima pulsante dell'Italia del dopoguerra. Il simbolo di una certa epoca italiana, l'immagine di uno stile, la rappresentazione di un modo di vita. L'indimenticabile Pina di Roma città aperta (1945), del regista Roberto Rossellini, apre un'era nuova, ha dentro di sé la plastica capacità del riscatto. Questo tipo di donna-coraggio, di madre forte, di figlia del popolo, la consacrerà artista di fama internazionale. Per questo film merita anche il primo di cinque Nastri d'argento della sua carriera. L'energia vitale, l'idea della femminilità di Anna Magnani cancella d'un sol colpo l’eterea bellezza del cinema dei "telefoni bianchi", le dive libellule dell'era fascista. Diventa l'attrice dal volto umano. Con la Magnani il ruolo della donna nel cinema viene completamente capovolto: non ci troviamo più di fronte a figure femminili fragili e molto nell'ombra, ma veniamo catapultati in un universo di umanità e di realismo espressivo riconosciuto da tutti i critici. Nasce ad Alessandria d'Egitto nel 1908. Perse il ruolo di protagonista in "Ossessione" di Luchino Visconti, perché era in gravidanza, ma rappresentò il neorealismo per antonomasia; per apparire vera non doveva esser presa dalla strada! Gennaro Righelli la dirige in due commedie bizzarre: Abbasso la miseria del 1946 e Abbasso la ricchezza del 1947. Nel film L'onorevole Angelina di Luigi Zampa del 1947, la Magnani interpreta la parte della popolana borgatara che arringa la folla. La vediamo poi nel ruolo che fu di Francesca Bertini nel film di Mario Mattoli, Assunta Spina (1948), un classico nel panorama del melodramma realistico italiano. Sposa Goffredo Alessandrini dal quale presto si separa, e matura un amore con Roberto Rossellini, che scrive per lei il film in due episodi L'amore. Anche questo amore però dura poco poiché nel 1949 arriva in Italia Ingrid Bergman della quale si innamora il grande regista. Quasi per ripicca la Magnani gira Vulcano a poche miglia di distanza dal set del film Stromboli. Siamo nel 1950. Nannarella, suo affettuoso soprannome, entra nell'entourage di Luchino Visconti che le affida un ruolo materno in Bellissima nel 1952. La Magnani in fondo è una grande perdente che sa trovare nelle sue sconfitte una dimensione eroica e umana al tempo stesso, come le accede anche nel suo importante film francese La cAnna Magnaniarrozza d’oro, sempre del 1952, dove il regista Renoir fa di lei una musa della commedia dell'arte. Si ritrova al fianco della Bergman, che nel frattempo ha avuto tre figli da Rossellini, sul set del film Siamo donne del 1953 sia pure in episodi diversi. Con Suor Letizia di Camerini nel 1956, meritò il quinto Nastro d’argento. Ancora nel 1956 la Magnani è la prima donna italiana a ricevere un premio Oscar come miglior attrice protagonista. Lo ottiene per il film che Tennessee Williams ha scritto su misure per lei: La rosa tatuata diretto da Daniel Mann, a Hollywood al fianco di Burt Lancaster. L'attrice infatti si trasferì negli Stati Uniti dal 1955 al '59. In America gira Selvaggio è il vento (1958) di Cukor e Pelle di serpente (1959) di Lumet. Rifiuta la parte di madre nel film La ciociara, offesa dall'idea di fare la "mamma" di Sophia Loren, cui era stato proposto in un primo tempo il ruolo di figlia. Accetta invece il ruolo di prostituta detenuta nel film Nella città l'inferno girato nel carcere romano delle Mantellate nel 1958 per la regia di Renato Castellani. Dopo un periodo di inattività tornò a recitare in teatro neLa lupa di Verga nel 1965 con la regia di Zeffirelli e al cinema nel film di S. Kramer Il segreto di Santa Vittoria del 1968. I suoi personaggi, sempre caratterizzati da un temperamento focoso e passionale, ma capaci di toccanti e imprevedibili dolcezze, le si addicevano in modo perfetto. << Anna invadeva lo schermo ed i cuori: un volto asciutto, scavato, una figura minuta e una grande passione, un gran fuoco, una vitalità prorompente nel portamento, intrepida, armata di un umorismo scarnificante e che sta dalla parte giusta per istinto, per adesione naturale >>, con queste parole la descriveva Carrano. Il suo personaggio era capace di sconvolgere, di colpire, di farsi amare. La sua irruenza, la sua totale mancanza di autocontrollo, il suo gesticolare accentuato, il suo "urlare" divengono gli elementi principali di una sorta di svolta nel cinema italiano. La Magnani è vicina alla gente comune non per copione, ma per istinto, apprezzata sia per le sue doti in campo recitativo sia per il suo modo di essere e di vivere. Dettagli questi che hanno contribuito non poco a creare uno dei talenti italiani più apprezzati nel mondo. Conclude il ciclo del neorealismo italiano e del grande cinema del dopoguerra, che aveva iniziato con Roma città aperta, con il film di Pasolini, allora regista esordiente, Mamma Roma del 1962. Muore a Roma nel 1973.
 
BIOGRAFIA DI PEPPINO DE FILIPPO

Peppino De FilippoPeppino De Filippo nasce a Napoli il 26 agosto 1903. Fratello minore di Titina ed Eduardo, figlio naturale di Eduardo Scarpetta e Luisa De Filippo, debutta a sei anni nella compagnia di Vincenzo Scarpetta al teatro "Valle" di Roma, in Miseria e nobiltà, nella parte di Peppeniello, il figlio di Felice Sciosciammocca. Ben presto la sua inquietudine lo porta però a passare in formazioni dialettali secondarie, dove ha modo di farsi le ossa. Nel 1920 entra nella compagnia di prosa Molinari (dove conosce Totò) al teatro "Nuovo" di Napoli, lavora poi con la compagnia dialettale di Francesco Corbinci al teatro "Partenope". Fa parte ancora delle compagnie di Villani nel 1921, di Urcioli-De Crescenzo e di Salvatore De Muto "L'ultimo Pulcinella" nel 1925, di Aldo Bruno nel 1926. Nel 1927 viene assunto nuovamente della compagnia di Vincenzo Scarpetta, occupando il posto del fratello Eduardo passato alla Carini-Falconi. Il 10 ottobre 1929 sposa Adela Carloni e, l'anno dopo, nasce il figlio Luigi che segue le orme del padre e recita ancora oggi in teatro. Eugenio Aulicino, impresario del teatro "Nuovo", assume, nel 1929, Eduardo e Peppino al posto di Totò; nel teatro già lavora Titina e i tre danno vita ad una formazione artistica denominata "Il teatro umoristico napoletano di Eduardo De Filippo con Peppino e Titina", vi fanno parte anche Tina Pica, Carlo Pisacane, Agostino Salvietti e Giovanni Berardi. Nel '31 si danno un nuovo appellativo "Compagnia Teatro Umoristico i De Filippo". Nel '32 sono al"“Sannazzaro" di Napoli con Chi è cchiù felice’e me di Eduardo e con Amori e balestre di Peppino e poi con molte altre commedie destinate a riscuotere entusiasmanti successi. La più celebre resta la straordinaria e insuperaTotò e Peppinobile Natale in casa Cupiello che ancora oggi viene riproposta in tutti i teatri d'Italia da Carlo Giuffrè. Alla sua carriera di attore egli alternava quella di autore di testi teatrali, cominciando a scrivere con lo pseudonimo di "Bertucci". Il sodalizio durò 15 anni, durante i quali il successo fu quasi sempre puntuale. Una vera e propria epoca d’oro per il teatro dei tre fratelli De Filippo. Quando, nel 1944, al teatro "Diana" di Napoli la compagnia si scioglie per incomprensioni tra Eduardo e Peppino, (pare che Eduardo non mancasse mai di rimproverare al fratello la benché minima mancanza ed andasse assumendo sempre più una veste dispotica). Nello stesso 1944 Peppino ricominciò per conto suo al teatro "Quattro Fontane" di Roma con Imputato alzatevi e Non sei mai stato così bello. Nel 1945 si separa dalla moglie e debutta con la sua nuova compagnia a Milano, al teatro "Olimpia", con I casi sono due. Gira in lungo e in largo l'Italia con Quelle giornate per due stagioni consecutive con ben 266 repliche. Dal 1959 al 1969 gestisce il "Teatro delle Arti" a Roma e, con la sua compagnia, mise in scena, oltre ai suoi lavori, testi di Moliere, Pinter, Goldoni, Bracco, Pirandello, Bernard e tanti altri ancora. Egli si dedicò ad un teatro fatto di farsa e comicità, rivolgendo le sue mire ad un genere più in lingua che dialettale. E fu un corretto italiano, senza gigioneria di accento o leziosità. Nel 1971 scompare Livia Maresca, sua compagna d'arte e di vita. Nel 1977 sposa Clelia Mangano, sua partner nella compagnia teatrale. Peppino non si limita al nostro paese: nel '56 è in tournee in Sud America e Spagna; nel '63 è a Parigi dove riceve un premio per la sua opera Le metamorfosi di un suonatore ambulante; nel '64 è ospite a Londra dell'Aldwich Theatre; nel '65 è a Praga e in Unione Sovietica; nel '66 è in Jugoslavia e in Svizzera; nel '69 in Portogallo, Spagna e Francia; nel '74 ritorna a Londra. Anche il grande schermo lo vide protagonista. Fa il suo esordio, assieme ad Eduardo, con Tre uomini in frak del 1932, per la regia di Mario Bonnard. Per la verità occorre dire che al cinema fece un po' troppe concessioni ad esibizioni mediocri e commerciali, poco adatte a metterne in luce le sue migliori qualità artistiche. Comunque notevoli e importanti furono le eccezioni. Basti pensare a Luci del varietà del 1950 di Federico Fellini e Alberto Lattuada, dove Peppino interpreta il ruolo di uno straordinario capocomico; Policarpo, ufficiale di scrittura del 1958 per la regia di Mario Soldati, in cui indossa i panni d'un pignolo capoufficio; Le tentazioni del dottor Antonio, episodTotò e Peppinoio del film Boccaccio '70 ancora firmato da Fellini, nel 1962 che lo vede ragioniere moralista e bigotto. Senza dimenticare il sodalizio quasi decennale con Totò, che produce tra il '55 ed il '63 ben 14 pellicole. Peppino seppe, con enorme bravura, tener testa allo scatenatissimo "Principe del sorriso", Antonio De Curtis. E non fu cosa da poco. L'unico riconoscimento che ebbe nella sua lunga carriera fu il Nastro d’argento che gli venne assegnato quale attore non protagonista per Totò, Peppino e i fuorilegge del 1956. In televisione conobbe un momento di eccezionale popolarità col personaggio di Gaetano Pappagone, nel varietà del sabato sera "Scala Reale" abbinato alla Lotteria Italia del 1966. L’arguta macchietta napoletana, eterna maschera del "povero di spirito", in realtà era assai più acuto di quanto non apparisse a prima vista. E' anche stato uno degli eroi del Carosello televisivo per la famosa serie di una marca d'olio "Peppino cuoco sopraffino" dal 1959 al 1963. Scompare il 26 gennaio del 1980 a Roma.

Filmografia completa di Peppino De Filippo

Tre uomini in frak (1932)
Cappello a tre punte (1934)
Quei due (1935)
Sono stato io (1937)
L’amor mio non muore... (1938)
Il marchese di Rovolito (1938)
In campagna è caduta una stella (1939)
Notte di fortuna (1940)
Il sogno di tutti (1940)
L’ultimo combattimento (1940)
Le signorine della villa accanto (1941)
A che servono questi quattrini? (1942)
Casanova farebbe così (1942)
Non ti pago (1942)
Campo de’ fiori (1943)
Non mi muovo! (1943)
Ti conosco, mascherina! (1943)
Io t’ho incontrata a Napoli (1946)
Natale al campo 119 (1948)
Biancaneve e i sette ladri (1949)
Vivere a sbafo (1949)
Bellezze in bicicletta (1950)
La bisarca (1950)
Luci del varietà (1950)
Cameriera bella presenza offresi (1951)
La famiglia Passaguai (1951)
Signori, in carrozza (1951)
Non è vero ma ci credo (1952)
Ragazze da marito (1952)
Totò e le donne (1952)
Una di quelle (1952)
Martin Toccaferro (1953)
Siamo tutti inquilini (1953)
Un giorno in pretura (1953)
Via Padova 46 (1953)
Le signorine dello 04 (1954)
Accadde al penitenziario (1955)
Cortile (1955)
I due compari (1955)
Io piaccio (1955)
Motivo in maschera (1955)
Piccola posta (1955)
Gli ultimi cinque minuti (1955)
La banda degli onesti (1956)
Guardia, guardia scelta, brigadiere e maresciallo (1956)
Totò, Peppino e i fuorilegge (1956)
Totò, Peppino la e la malafemmina (1956)
La nonna Sabella (1957)
Peppino, le modelle e chella llà (1957)
Vacanze a Ischia (1957)
La nipote Sabella (1958)
È permesso maresciallo? (1958)
Anna di Brooklyn (1958)
Pane, amore e Andalusia (1958)
Policarpo ufficiale di scrittura (1958)
Totò, Peppino e le fanatiche (1958)
La cambiale (1959)
Arrangiatevi! (1959)
Ferdinando I° Re di Napoli (1959)
Genitori in blue jeans (1959)
Peppino e le nobile dama (1959)
Il mattatore (1960)
Letto a tre piazze (1960)
Chi si ferma è perduto (1960)
Signori si nasce (1960)
A noi piace freddo...! (1961)
Gli incensurati (1961)
Totò, Peppino e la dolce vita (1961)
Il carabiniere a cavallo (1961)
I quattro monaci (1962)
Boccaccio ’70 (1962)
Totò e Peppino divisi a Berlino (1962)
Il mio amico Benito (1962)
Il giorno più corto (1962)
Gli onorevoli (1963)
I quattro tassisti (1963)
Adultero lui, adultera lei (1963)
Totò contro i quattro (1963)
I quattro moschettieri (1963)
La vedovella (1964)
Made in Italy (1965)
Rita la zanzara (1966)
Ischia operazione amore (1966)
Non stuzzicare la zanzara (1967)
Soldati e capelloni (1967)
Zum zum zum (1969)
Lisa dagli occhi blu (1969)
Gli infermieri della mutua (1969)
Zum zum zum n°2 (1970)
Ninì Tirabusciò, la donna che inventò la mossa (1970)
Giallo napoletano (1978)

 
BIOGRAFIA DI HAROLD LLOYD
HAROLD LLOYDNato in Nebraska nel 1893. La sua è una sorte curiosa. Considerato uno dei tre più grandi comici americani del muto, per alcuni anni ebbe un successo addirittura maggiore di Charlie Chaplin e di Buster Keaton. Però, a differenza degli altri, lui veste i panni di un tipo comune che quasi si nasconde nella folla americana, il vicino della porta accanto e proprio per questo è meno conosciuto dai giovani. Giovanotto di provincia, figlio di un fotografo, sceglie la strada dei teatri di varietà e alla fine si imbatte in un produttore cinematografico come Hal Roach (fu colui che impose e sorresse per molti anni la fama e il successo popolare della coppia Stan Laurel e Oliver Hardy). Insieme inventano il personaggio di "Luca il solitario" (Lonesome Luke) e girano un centinaio di cortometraggi che godono il favore del pubblico. Ma ancora non basta, il personaggio non è bene a fuoco. Lo diventerà quando Lloyd si metterà sul naso, dal 1917, grossi occhiali da miope cerchiati di tartaruga che riesce a non rompere mai anche attraverso le peripezie più paradossali, in testa un cappellino di paglia, un abbigliamento un po’ démodé con giacca e farfallino (o cravatta). Affinerà le proprie abilità acrobatiche che utilizzerà sapientemente come una sorta di pausa farsesca nella partitura umoristica dei suoi film, tanto da meritarsi il titolo di "re della comica temeraria". Ha creato un personaggio emblematico gentile e raffinato, coerente con la sua notevole cultura classica e con la sua personalità seria e posata. Mantenne una scintillante immagine esemplare per l'intera sua esistenza; ne può essere testimonianza il fatto che egli si sia sposato una sola volta mentre molti suoi colleghi dell'epoca cambiavano le mogli quasi come le camicie. Sposò l'attrice Muldred Davis, la vedette femminile nei suoi film dal 1919 al 1923, e visse con lei 46 anni di felice esistenza coniugale. Rappresentò nei suoi film e anche nella vita l'immagine della riuscita e dell'ottimismo. Il suo personaggio fu un po' incosciente e ingenuo, sempre uguale e sempre diverso, afflitto da una timidezza congenita, ma al tempo stesso astuto, sempre pronto a superare le difficoltà con apparente disinvoltura. Figura sobria, ma efficace che farà la sua gloria ed alla quale resterà fedele fino alla fine della sua carriera. La maggior parte dei suoi film, quasi tutti diretti da Fred Newmeyer e Sam Taylor, erano costruiti sui casi che Lloyd doveva affrontare per affermare la propria personalità e far bella figuraHAROLD LLOYD davanti alla propria ragazza, doveva fare il personaggio timido e impacciato, ma coraggioso e intraprendente. Rincorre avventure pericolose sempre in bilico tra incidenti da brivido e gag esilaranti, trovate comiche ed esiti drammatici. Bianchissimo in volto, pieno di buona volontà, simpatico, pasticcione, intrepido, ma sempre leale. Il suo entusiasmo è solare e interpreta degnamente l'America dell'età del Jazz. Gianni Rondolino l'ha definito << un genio della comicità discreta >>. Perennemente alle prese con problemi di tempo e di orologi (grandi e piccoli) seppe coniugare la velocità frenetica delle comiche di Mark Sennett con la precisione geometrica dei tempi e dello stile di Hal Roach, suo mentore. Nel periodo tra il 1919 e il 1921, girerà moti corti insieme a Bebe Daniels e Snub Pollard come principali partners. Poi passerà ai lungometraggi. Spesso, evitando le controfigure, sotto la regia di Fred Newmayer interpreterà film spassosi come Il talismano della nonna nel 1922, Accidenti che tranquillità! e Preferisco l'ascensore! (1924), Viva lo sport! (noto anche come Io e la palla) nel 1925. Memorabile, nel film, l'episodio della matricola che, per tenere alto l'onore della propria università, s'improvvisa campione di baseball e vince, proprio lui che ci vede poco e gira, da buon snob, tutta la scena con l'immancabile paglietta sulla testa. Nel film Preferisco l'ascensore, del 1923, di Fred Newmeyer e Sam Taylor, l'incosciente Lloyd è alle prese con una sequenza mozzafiato: la scalata di un edificio di 12 piani resa possibile da una serie di accorgimenti tecnici e l'impiego di un acrobata nei campi lunghi, lui finisce aggrappato a un orologio e rischia la vita sospeso nel vuoto in precario equilibrio sulla strada sottostante. Un'altra volta, nel film Il castello incantato (1920), gli scoppia in mano una piccola bomba, mentre tenta di accendersi una sigaretta con la miccia, e perde due dita. NHAROLD LLOYDel 1928 gira A rotta di collo di Ted Wilde e Follie del cinema nel 1932. Sono esempi significativi di cinema comico in cui il meccanismo della comicità è compiuto. Il riso è frutto di una calcolata successione ritmica di sequenze opportunamente calibrate insieme all'approfondimento psicologico del personaggio, non più semplice e mera macchietta. Poi le situazioni comiche e grottesche si ripetono e lo scatto del giovane ingenuo capace di sfidare il mondo è meno pronto ed efficace sullo schermo. Harold Lloyd è troppo "lunare" e smarrito per poter parlare e con il sonoro la sua storia è chiusa. Vera icona del pubblico americano fu anche oculato poiché fu uno dei pochi attori nella storia del cinema che abbia acquistato i diritti su tutti i film in cui compare. Con la fine del muto cessò anche il suo successo al cinema, ma seppe rimanere popolare e ricchissimo fino alla sua morte che avvenne a Beverly Hills, in California, nel 1971.
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BIOGRAFIA DI JOHN BARRYMORE
JOHN BARRYMOREPseudonimo di John Blythe. Nato a Philadelfia nel 1882 e morto a Hollywood nel 1942. Quella di Barrymore è stata una grande famiglia di attori, John era fratello di Ethel, che debuttò nel cinema presto ma poi lavorò in teatro fino alla metà degli Anni '40 e di Lionel, famoso caratterista corpulento e sornione. Appaiono tutti e tre in un solo costosissimo film (più di un milione di dollari dell'epoca), Rasputin e l'imperatrice del 1932. Dopo di loro ci sono una seconda e terza generazione. John incarnò sullo schermo il romantico seduttore dall'oscuro passato e dall'incerto futuro. Profilo perfetto (fu soprannominato "Il Grande Profilo") e ombra di malinconia negli occhi, costituì un modello per tanti altri attori che aspiravano ai vertici di Hollywood. John Barrymore fu una figura di statura mitica nell'olimpo del muto. La sua era una bellezza patrizia, quasi inusuale. Teatrale, eccessivo, melodrammatico nella vita e sullo schermo, capace di straordinari e toccanti intimismi recitativi, seppe passare dal muto al sonoro scivolando con la struggente e insensata levità del dongiovanni impenitente e dell’alcoJOHN BARRYMORElista cronico da un amore all'altro. Rispetto al fratello, << possedeva certamente più fascino, ma meno talento e versatilità >> come sostiene Fernaldo Di Giammatteo. Fu un protagonista assoluto, per vocazione, di film diventati veri e propri classici, tra questi Dottor Jekyll e Mister Hyde del 1940 per la regia di J. Robertson. Esordì nel 1912 con il film The Great Profile. Divenne un divo a partire dagli Anni '20. Sostenne con simpatica e aristocratica spavalderia il ruolo di protagonista nel film Don Giovanni e Lucrezia di Alan Crosland del 1926 dopo essersi calato nel ruolo di Lord Brummel nell'omonimo film di H. Beaumont due anni prima. Lavora accanto al fratello Lionel nel suggestivo Grand Hotel del 1932 di E. Goulding dove tiene testa a Greta Garbo. Nel 1933, in Pranzo alle otto per la regia di G. Cukor, affronta la brillante compagnia di Jean Harlow e Wallace Beery ed il film risulterà delizioso. E' stato, negli Anni '30 e '40, uno dei divi su cui la MGM ha fatto maggior affidamento. Le sue vicende private, quattro mogli, una pletora di scandali, la vita sregolata, l'insano alcoolismo e la malattia, riempirono le pagine delle cronache rosa e delle riviste scandaJOHN BARRYMORE E CAROLE LOMBARDlistiche del tempo. E’ il mito che contempla se stesso, molti suoi ritratti hanno già la malinconia del tramonto annunciato. Non riuscirà a controllarsi e si avvierà verso una penosa decadenza. Morì che era l'ombra di se stesso, di polmonite, nel 1942. Gli ultimi set erano costellati di bigliettini con le battute da recitare. Ormai non ricordava più nulla. Genio e sregolatezza. Oltre a quelli citati ricordiamo alcuni tra i suoi film più importanti:

Aquile tonanti (1952)
La donna invisibile (1940)
The Great Man Votes (1939)
La signora di mezzanotte (1939)
Maria Antonietta (1938)
Bulldog Drummond - Situazione pericolosa (1938)
Il falco del nord (1938)
La moglie bugiarda (1937)
Primavera (1937)
Giulietta e Romeo (1936)
Ventesimo secolo (1934)
Ritorno alla vita (1933)
Giuro di dire la verità (1932)
Febbre di vivere (1932)
Il mostro del mare (1926)

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BIOGRAFIA DI BARTOLOMEO PAGANO
BARTOLOMEO PAGANOPopolarissimo attore in grado di costituire da solo e per lungo tempo un fenomeno divistico al maschile. Maciste è l'autentico eroe popolare positivo. Nasce dalla fantasia di Gabriele D'Annunzio come superuomo in contrapposizione agli eroi delle sue avventure intellettuali. Le sue interpretazioni sono fondate sull'azione e sulle continue e sempre più audaci dimostrazioni di forza. La sua recitazione è ridotta al minimo e non possiede quella caratteristica enfatica tipica di quasi tutti gli attori dell'epoca. Il suo personaggio a partire da Cabiria fino alle soglie del cinema sonoro è uno dei veicoli più usati per l'esaltazione degli ideali nazionalisti. E' il protagonista di vicende che lo vedono muoversi non solo lungo tutto l'arco della storia dalle guerre puniche al fascismo, ma soprattutto agire in una topografia che travalica i confini nazionali per spingersi fino in America. Pagano lavorava al porto di Genova come scaricatore. Cercavano un uomo forte e robusto per un film storico e tra i tanti che si presentarono al provino scelsero lui. Divenne Maciste, antichissimo soprannome di Ercole. Fu la sua fortuna. Nei primi anni guadagnava 20 lire al giorCABIRIAno, poi pian piano e suoi compensi sono diventati favolosi fino a toccare le 600.000 lire l'anno, cifra che poneva il Pagano tra i divi più pagati del cinema italiano. Accompagna la parabola del cinema muto italiano dalla sua massima espansione alla sua agonia. Sostiene, in certi casi da solo, la sopravvivenza di una produzione ormai priva di mezzi e di idee. Grazie a Pagano la casa di produzione Fert, dopo la crisi e il fallimento dell'UCI, riesce a non chiudere i battenti. Ogni anno vengono messe in cantiere due o più opere che lo vedono protagonista. Dopo essere stato diretto da Pastrone nei suoi primi film, Pagano passa l'ultimo decennio del muto sotto vari registi. I suoi titoli più significativi sono: Maciste alpino di Luigi Maggi (1916), Maciste contro la morte di Romano Luigi Borgnetto (1919), Maciste innamorato di Borgnetto (1919), Il testamento di Maciste e Il viaggio di Maciste entrambi di Carlo Campogalliani (1920), Maciste in vacanza e Maciste salvato dalle acque entrambi di Borgnetto (1921), Maciste e il nipote d'America di Eleuterio Ridolfi (1924), Maciste imperatore (1924) di Guido Brignone. Da ricordare con particolare sottolineatura Maciste all'iBARTOLOMEO PAGANOnferno, film grottesco e geniale di Guido Brignone del 1925, un'allegra sarabanda dove Maciste ingaggia furibonde lotte con i diavoli dell'inferno e viene sedotto dalle belle diavolesse. La critica riconobbe in quel film un non comune << intendimento d'arte >> e una << genialità e fantasia insolita >>. E' piacevole, divertente, pieno di trucchi e trovate astute. Ricordiamo ancora: Maciste nella gabbia dei leoni di Guido Brignone e Maciste contro lo sceicco di Mario Camerini entrambi del 1926. L'anonima Pittaluga presenta nel 1926 anche Il gigante delle Dolomiti dove Bartolomeo Pagano, che compare con grande spazio nel cartellone di presentazione del film, è più umanizzato, le sue imprese sono più credibili e adatte anche ad un pubblico più esigente. La direzione artistica è di Guido Brignone. Poi nel 1927 Il vetturale del Moncenisio di Baldassarre Negroni e l'anno dopo Giuditta e Oloferne, sempre di Negroni. Con la sua immagine di raddrizzatore di torti, di difensore di deboli, donne e bambini viene spesso strumentalizzato dal nascente regime fascista. Maciste sopravvive alla crisi del divismBARTOLOMEO PAGANOo e del cinema del dopoguerra. Genera altri personaggi capaci, come lui, di grandi performance spettacolari, ma non in grado di offrire un punto di riferimento per l'immaginario collettivo. Ricordiamo quelli che hanno tentato di imitare Maciste, ma con risultati molto più modesti: Luciano Albertini con Sansone, Domenico Gambino con Saetta, Alfredo Boccolini con Galaor, Mario Guaita con Ausonia, Francesco Casaleggio con Fracassa, Carlo Aldini con Aiax. Riusciranno comunque, per alcuni anni, a competere sia con Maciste sia coi film americani. Poi la crisi del cinema e l'avvento del sonoro emarginò l'attore. Molti italiani in quegli anni per poter lavorare nel cinema, andarono in Germania. << Non me la sono sentita di emigrare... >>, disse il Pagano: << Ho dato uno sguardo al mio conto in banca e ho deciso di dedicarmi per sempre al mio ultimo film: "Maciste a riposo!" >>. Gigante non solo buono, ma anche sottilmente ironico...
BIOGRAFIA DI LEDA GYS
LEDA GYSRegina incontrastata della casa di produzione napoletana Lombardo Film fondata nel 1919 dal marito Gustavo Lombardo, la Gys è stata << una delle poche dive capaci di lasciare una traccia nella memoria dello spettatore italiano >> come afferma Gian Piero Brunetta. I maggiori successi, del suo pur ampio repertorio, sono raggiunti in opere tipicamente napoletane legate a sceneggiate, canzoni e testi dialettali. Riesce bene nei film dove interpreta ruoli di sbarazzina. E' la classica reginetta perpetua della festa specie nei film napoletani. I suoi principali film sono: Histoire d’un Pierrot di Baldassarre Negroni, con Francesca Bertini, Emilio Ghione della Celio Film (1914), Chritus di Giulio Antamoro (1916), La Principessa di Camillo De Riso (1917), Sole e La Donna che inventò l'Amore di Giulio Antamoro (1918), Friquet di Gero Zambuto (1919), Un Cuore nel mondo di Amleto Palermi e Scrollina di Gero Zambuto (1920), I Figli di Nessuno di Ubaldo Maria Del Colle e Mia moglie si è fidanzata di Gero Zambuto (1921), Santarellina di Eugenio Perego (1923), La Fanciulla di PomLEDA GYSpei di Giulio Antamoro, Saitra la ribelle di Amleto Palermi e Vedi Napoli e poi muori! di Eugenio Perego (1924), Napoli è una Canzone di Eugenio Perego (1927), Napoli e niente più di Eugenio Perego (1928). Questo film commedia dalla trama esile sembra invocare il sonoro, già in vittoriosa avanzata. << Realizzazione ottima – scrive il recensore della torinese Rivista Cinematografica, mai troppo indulgente verso i film realizzati all'ombra del Vesuvio – Niente vicoletti, niente sudiciume: la Napoli di questo film è la Napoli moderna, quella che realmente si vede oggi, passeggiando per la città >>. Nei suoi film emerge la forza e la disperazione della rappresentazione delle passioni, nobilitate da una sceneggiatura molto curata e didascalie tratte da testi letterari non di rado scritti in dialetto napoletano con la traduzione italiana a fianco. La Gys interpreta ora figure di popolane capaci di affrontare con grande forza tutte le prove della vita, ora di giovani coinvolte in situazioni piccanti e spesso pronte a sfidare con piglio sfrontato la morale corrente e i tabù sessuali. Non sopravviverà alla ristrutturazione imposta al cinema dal sonoro.
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA DI PIERLUIGI CAPRA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA

IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA DI PIERLUIGI CAPRA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA
IL CINEMA DELLE STAR IN CARTOLINA DI PIERLUIGI CAPRA - DAL CINEMA MUTO AGLI ANNI SESSANTA
Casa Editrice: Graphot – Lungo Dora Colletta 113/12 - 10153 Torino
Prezzo: € 43
Formato: cm 22x32
312 pagine con circa 600 riproduzioni di cartoline d'epoca (parte in bianco/nero e parte a colori)
Copertina cartonata
Sopracopertina plastificata
Finito di stampare nel dicembre 2004
Prefazione di Stefano Della Casa di Torino

Questo libro prescinde dalle tante storie scritte sul cinema, ma si concentra sugli attori, sui divi, sulle divine, sui miti e sui personaggi che hanno immortalato sullo schermo, è un lavoro che sta dalla parte delle Star.
Gli americani ricorrono alla parola Star, neutra e bisex, anche per la similitudine che la parola evoca: come le stelle del cielo risplendono, nell'oscurità di una notte limpida, così quelle del cinema brillano nell'oscurità delle sale di proiezione dei locali cinematografici.
Si parla di quelle Star che hanno salvato brutti film, che ci hanno dato forti emozioni, che ci hanno fatto conoscere la bellezza e ricordare un film perchè c'era quel particolare interprete.
Quelle Star che col loro fascino personale, hanno contribuito a fare del cinema lo spettacolo per eccellenza, che hanno incarnato i simboli, i miti, le leggende e sono diventate immortali per i cinefili, quelle che ci mostrano di che sostanza son davvero fatti i sogni.
Le più originali, quelle di maggior spicco, con più forte personalità, che hanno caratterizzato un'epoca del cinema, quelle più carismatiche, le più premiate, le più rivoluzionarie, quelle che hanno saputo innovare il cinema, che hanno lasciato segnali indelebili nell'immaginario collettivo, quelle che hanno toccato le vette più alte dell'estetica cinematografica.
Star al di sopra del cinema e al di sopra del tempo, perchè la stella è una luce che brilla a lungo e in certi momenti ci fa sentire meno soli.
Le cartoline pubblicate, tutte d'epoca, dal cinema muto agli Anni '60, sono le ideali tessere di un mosaico, i fotogrammi del film intitolato: Il Cinema delle Star più grandi del mondo
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A cura di Pierluigi Capra

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