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RECENSIONE FILM L'ABBRACCIO PERDUTO EL ABRAZO PARTIDO

L'ABBRACCIO PERDUTOANNO: Argentina / Francia 2004

GENERE: Drammatico

REGIA: Daniel Burman

CAST: Daniel Hendler, Sergio Boris, Adriana Aizenberg, Jorge D'Elia, Diego Korol, Silvina Bosco, Melina Petriella, Rosita Londner, Isaac Fajn, Atilio Pozzobon, Daniel Kargieman, Francisco Pinto, Pablo Kim, Juan Josè Flores Quispe.

DURATA: 100 '

TRAMA: << Ho questa unica immagine di mio padre Elias (Jorge D'Elia). E' un video fatto in casa, ma si vede abbastanza bene. Sta insieme allo zio Eduardo, dietro al rabbino. Mi circoncidono con allegria e orgoglio. L'audio non è molto buono, però si sente il mio pianto, tra le urla degli invitati. Il giorno dopo papà se ne è andato in Israele, a combattere in una guerra. La guerra poi è finita, ma lui non è tornato. Arrivano alcune lettere, e a volte chiama. A mia madre tutto questo sembra normale e per mio fratello, Joseph (Sergio Boris), la cosa non merita alcun commento. Io non li capisco. Uno non va a tagliare il pene ai figli per poi sparire per venti anni, così come se niente fosse. Non è giusto. Io lavoro con mia madre Sonia (Adriana Aizenberg) in una galleria del quartiere di Once. La galleria è il mio universo, un universo in estinzione. La mamma ha un negozio di biancheria intima femminile. Lavoro con lei, immaginando i corpi nudi delle donne che vengono a comprare minuscoli capi di vestiario. Mio fratello Joseph lavora in un negozio giù in fondo, vende e compra cose. Di fronte si trova il negozio di Osvaldo (Isaac Fajn), che è in vendita, e più in là ci sono i coreani e il negozio della famiglia Saligani (Atilio Pozzobon e Mónica Cabrera), che riparano le radio, e si urlano in italiano. Per fortuna c’è anche il negozio di Rita (Silvina Bosco), che è come una fidanzata, più o meno. I negozi cambiano genere di commercio. I miei amici diventano persone diverse. Alcuni si sposano, altri si trasformano, e la maggior parte cerca la salvezza di un passaporto europeo. Aaron è già francese, Pedro spagnolo e io sarò presto un uomo polacco >>. La storia di un rincontro tra un padre e un figlio. La ricerca di un passato che ci giustifichi, il ritratto di un abbraccio ritardato...

CRITICA a cura di Gianni Merlin: Vincitore dell'Orso d'Argento al recente Festival di Berlino, El Abrazo Partido - L'Abbraccio Perduto coglie le dinamiche e gli intrecci di una eterogenea comunità di argentini, perlopiù immigrati, intenti al lavoro all'interno di un centro commerciale di Buenos Aires. Il tema di fondo della pellicola, cioè la ricerca delle origini paterne da parte del oriundo polacco e per di più ebreo Ariel - Daniel Hendler, giovane attore dall'immutabile espressione (ma era veramente così avara di interpreti maschili l'ultima Berlinese da tributargli il Premio per la Miglior interpretazione?), rappresenta una tematica ormai inflazionata al cinema e non solo, specialmente quando si ha a che fare col popolo ebraico, per definizione alla ricerca di identità e di aggregazione; tuttavia, se il canovaccio appare alquanto scontato, il film si fa apprezzare per la intrigante capacità del regista Daniel Burman, che, sicuramente invaghito di certo cinema francese post-Godard, prende la sua camera a mano e segue il buon Ariel tra i meandri del fetido centro commerciale, più simile ad un bunker che ad un contenitore di negozi, e tratteggia con cura i vari personaggi che popolano questo strano posto, in primis la figura di mamma Sonia - Adriana Aizenberg, questa sì notevole attrice, da premiare per le sue smorfie e gli sguardi vuoti intenti a nascondere la ombre di un passato di luci ed ombre. Burman riempie tutta la pellicola con dialoghi continui, a volte frenetici, che alla lunga possono diventare pesanti ma che omogeneizzano tutta la simpatica "armata Brancaleon" di una Buenos Aires dignitosa e febbrile, conscia dell'attuale difficoltà economica che ogni tanto emerge di sfondo. Gianni Merlin
VOTO:

CRITICA a cura di Olga di Comite: Si gioca sul filo sottile tra commedia e dramma, che non vuol essere tale, questa crisi di un quasi trentenne argentino di provenienza polacca e origine ebraica, che non si sente di nessuna parte ed aspira a una sua identità, più discreto nei toni ma nella falsa riga de "L'ultimo bacio" di Muccino e delle altre ricerche identitarie legate all'opera di giovani registi italiani. La specificità del film sta anche in altri due aspetti: 1. l'accento posto sulla mancanza fisica e psicologica dell'autorità e dell'effetto paterno (l'abbraccio perduto è infatti quello del padre); 2. l'aver ambientato il tutto in un luogo particolare, una piccola galleria commerciale animata da personaggi secondari molto ben ritagliati. La maggior parte di loro ruota comunque attorno ad Ariel, il protagonista; la madre gestisce lì un mini-negozio di intimo femminile, il fratello compra e "tenta" di vendere gli oggetti più strani, l'amico più caro trascina nel negozietto le sue amanti straniere, lo spazio-computer della galleria è gestito da una biondina che si dà ad Ariel ma non può fornirgli la sicurezza affettiva di cui ha bisogno. Il protagonista si muove in questo gruppo con trasognata leggerezza, indagando continuamente per ricostruire la figura di questo amato-odiato genitore e inseguendo il sogno di trasferirsi in Polonia, dove pensa di poter colmare la sua fondamentale incertezza esistenziale. Ma un abbraccio perduto può essere in qualche modo ritrovato e così accadrà a lui nel momento in cui la storia svolta con un coup de theatre, che è meglio non rivelare. Nei panni di Ariel si è calato Daniel Hendler con una interpretazione credibilissima che gli ha valso il Premio per la Migliore Interpretazione maschile al Festival di Berlino. Indovinatissimi gli altri attori e soprattutto la madre, un po' simile alle mamme ebraiche immortalate da Woody Allen. Il regista Daniel Burman, appartenente a una specie di nouvelle vague argentina, è anche lui Orso d'Argento a Berlino 2004 ed è anche autore del soggetto; come tecnica sceglie riprese saltellanti con la camera a mano, tallonando da vicino i personaggi e si affida a dialoghi duettati tra gli attori con battute minimaliste ma efficaci, piacevoli anche quando sfiorano la commozione. Un film semplice ma accattivante, eseguito con un linguaggio da cinema volutamente "adolescente", quasi a sottolineare l'immaturità psicologica di Ariel. Di non riuscito solo alcuni brani in cui il ritmo rallenta e la sceneggiatura si fa più debole. Nel complesso una gradita sorpresa e forse un congedo... visto che siamo alle soglie dell'estate e la stagione cinematografica batterà per qualche mese la fiacca. Olga di Comite
VOTO:

 

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