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RECENSIONE FILM ELIZABETH THE GOLDEN AGE

ELIZABETH THE GOLDEN AGECRITICA a cura di Olga di Comite: Ed eccoci alla seconda puntata di quella che sarà una trilogia dedicata a Elisabetta II.

Il racconto è datato al 1585, quando la regina regna da 27 anni e deve combattere contro le congiure alimentate in patria dalla cugina Maria Stuarda la Cattolica e contro l’Invincibile Armada di Filippo II di Spagna. A parte i dati storici, ho trovato interessante il versante un po’ lesbico che l’autore indiano Shekhar Kapur ha indagato con garbo sottile, tratteggiando nel suo sequel una Elisabetta a metà tra vergine fecondabile e lesbica potenziale. Difatti ancora oggi questo tabù resiste molto di più al femminile, tanto che i libri di storia e le biografie ufficiali non parlano di regnanti donne di tali tendenze. Anche le più scellerate eroine del passato sono sempre dedite a disordini sentimentali al maschile.

Il richiamo perciò ha un suo fascino e si arricchisce di una funzione proiettiva: Elisabetta vive la relazione sessuale col suo bel tenebroso, l’avventuriero sir Walter Raleighs, attraverso il rapporto concreto che questi ha con la sua dama preferita, una giovanissima che la sovrana in qualche modo ama, ma che butta nelle braccia dell’uomo.

Un triangolo quindi complesso reso ambiguo dal ruolo regale di una delle protagoniste. Ma non si creda a un film giocato su tale aspetto intrigante, perché sono molti gli ingredienti di questo piatto godibile con cadute ma anche con scene da grande cinema. Gli aspetti psicologici, un po’ veri un po’ inventati, del personaggio sono descritti dal regista con una foga e una partecipazione che trasformano un prodotto alla Bollywood in un bel racconto tra storia, fantasia e melò.

La sontuosa scenografia è calata in una severa struttura gotica e richiama una chiesa, i vestiti belli ma non sovraccarichi diventano insieme alle parrucche (18 quelle della regina) parte della recitazione, quasi che l’abito con la sua ampiezza sia il mezzo regale per mettere tra sé e gli altri una giusta distanza; i colori studiatissimi sono nel dna del regista di origine indiana, che conosce e usa tutte le sfumature delle sete e dei veli. Disturba invece l’accompagnamento musicale (specialmente nelle scene della battaglia), perché troppo sonoro e a volte da coro chiesastico. Inoltre alcuni personaggi risentono di pennellate e coloriture eccessive; tra tutti Filippo II, presentato come un pazzo ossessionato dall’idea di inquisire il mondo intero. Però tra cadute di gusto, svarioni storici, momenti di stanca, occhieggia il grande spettacolo del cinema con robuste e dinamiche inquadrature che rimangono negli occhi, mentre il mito, il simbolo, l’emozione stravincono sulla storia.

Forse il primo Elizabeth era più riuscito, come in genere accade ai film in serie, ma le contraddizioni di una donna regnante a quei tempi sono rese con indiscutibile e sorvegliato fascino e la Blanchette dà in questo un ottimo sostegno alla regia, perché senza la sua presenza carismatica, spigolosa, dolcissima, il film non varrebbe granché. Tra gli attori è certo la migliore, come del resto aveva già dimostrato di saper fare nei più recenti Babel e Diario di uno scandalo. Ma convincenti sono anche Clive Owen, nel ruolo dell’irresistibile pirata, e Geoffrey Rush nel ruolo dell’impenetrabile consigliere.

In definitiva mi è sembrato di ritornare a quando da piccola uscivo dalla sala eccitata e divertita dopo aver visto un bel film di cappa e spada, un po’ storico, un po’ falso, un po’ incredibile ma tanto spettacolare. Olga di Comite
VOTO:

 
 

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