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RECENSIONE FILM HAPPY FAMILY

HAPPY FAMILYCRITICA a cura di Nicole Braida: Ezio (Fabio De Luigi) è un autore in cerca di una storia. O almeno cerca di scriverla. Però è solo e con poche idee nel suo loft milanese, accompagnato dalla sola colonna sonora di Simon and Garfunkel, eredità che gli ha lasciato l’ex fidanzata.

E così inizia il suo tentativo di descrivere un gruppo di personaggi: due famiglie unite dai figli sedicenni che vorrebbero sposarsi. La prima, alto borghese dove il marito (Fabrizio Bentivoglio) e padre di Caterina (Valeria Bilello), ha appena ricevuto dalle lastre un'angosciosa verità, la moglie (Margherita Buy) e madre di un ragazzo “particolare” sopravvive tacitamente all’insoddisfazione, e in più una nonna amante della buona cucina ma piuttosto rimbambita.

L’altra famiglia invece è formata da un giramondo che si fuma ancora le canne (Diego Abatantuono), una moglie insoddisfatta, ubriacona e logorroica (Carla Signoris) e da una figlia che evade le tradizioni. Personaggi che pretendono oltre ad un perché anche un finale concreto e dunque si ribellano allo stesso Ezio, che perciò è costretto a inserire se stesso come protagonista nella sua storia.

Il film è strutturato così in tre atti principali: “Personaggi ed interpreti”, “Confidenze” e infine “The family”. Lo stesso Salvatores ha affermato che per lui questa divisione è un po’ un paradigma di un nuovo tipo di famiglia moderna, dove i soggetti non sono più esclusivamente dentro il cerchio familiare ma insieme col tempo finiranno per creare ugualmente una vera e propria “family”. Inoltre la sceneggiatura scritta per questo film insieme ad Alessandro Genovesi è stata già un’opera teatrale, nonché la sceneggiatura per la quale Genovesi ha vinto il prestigioso Premio Solinas.

Salvatores, comunque è un maestro e nella regia riesce a dare il meglio, ambientando la storia in una Milano vista quasi esclusivamente dal basso (come nei quadri appesi nella stanza di Ezio), e creando atmosfere sature di colori: rosso, giallo, blu o verde, mescolati o da soli. O nero e bianco che accompagnano un bellissimo sguardo notturno su Milano, mentre dal piano fuoriescono le note carezzevoli del famoso “Notturno” di Chopin. Magnifica fotografia, scenografia e costumi.
Una commedia piena e al tempo stesso leggera, proprio come dovrebbe essere, proprio come solo Salvatores è ancora capace di fare.
Nicole Braida
VOTO: 7

 

CRITICA a cura di Olga di Comite: Happy Family un gioiellino modernista di un orafo settentrionale, le Mine vaganti un monile barocco di un orefice mediterraneo. E il gioco potrebbe continuare, data la pioggia di famiglie di cui gronda il nostro cinema. Ma il film in questione, come molte creazioni di Salvatores, è interessante anzitutto per il solito tentativo dell’autore di coniugare i media odierni, recenti e nuovissimi, in tutte le salse (vedi Nirvana e Quo vadis baby?), mettendoli in relazione, senza dimenticare cultura letteraria e teatrale. Così, in quel modo intelligente e freddino tanto milanese e rilassato, Salvatores ci regala una commedia dove musica, teatro, cinema e cartoons al computer si mescolano con un tocco ora pop ora colto.

Da Pirandello a Keaton, da Allen a Fellini, dal Notturno n. 20 di Chopin a Simon e Garfunkel, tutto convive e si mescola come nella famiglia teatrale e nel gruppo di amici che riflette il particolare concetto di famiglia che l’autore - come lui stesso dichiara in una intervista - sperimenta nella sua vita reale. Ma a proposito di vita reale: sappiamo davvero cosa è? E i personaggi inventati nel film dallo sceneggiatore Ezio sono veri quanto lui o sono falsi? Può ciascuno di noi scrivere la trama della propria vita o è questa impossibilità a fare la differenza tra finzione e verità? Molti gli interrogativi, alcuni scontati, altri che non hanno perso efficacia, mentre il racconto si dipana facendo divertire lo spettatore con il garbo della sceneggiatura e delle battute, il ritmo prezioso del montaggio di Massimo Fiocchi, la bella fotografia di Italo Petriccione.

Al centro della narrazione, che non casualmente si apre e si chiude con un sipario e si divide in tre quadri tipo cinema muto, lo sceneggiatore Ezio, che vive di rendita, abita in un loft dove ogni oggetto rimanda a una cultura anni ’60 e che sta mettendo in scena una sua invenzione. In essa due famiglie s’incontrano per una cena durante la quale due ragazzi sedicenni vogliono annunciare la loro decisione di sposarsi. Ma nel gruppo si troverà ad entrare anche l’autore, finito tra i suoi personaggi per via di un incidente che lo catapulta sulla scena. Delle due famiglie, una di classe media e l’altra decisamente benestante, la prima è formata da genitori, due figli e una nonna che veleggia verso la demenza senile, l’altra da padre, madre e una figlia supermoderna. Lo scrittore Ezio, ultimo entrato, non avrà occhi a tavola che per Caterina, la figlia più grande della famiglia ricca. Intanto la conoscenza tra le donne e gli uomini fa nascere nuove relazioni; i ragazzi invece capiscono che non è il caso di sposarsi.

Ezio, che scriveva per non innamorarsi nella realtà, scopre di essere cotto della giovane appena conosciuta, ma un minuto prima di baciarla decide di uscire dal film, lasciandolo aperto e irrisolto e provocando la ribellione dei suoi personaggi che, pirandellianamente, vogliono invece sapere come andrà a finire per ciascuno di loro. Le ultime sequenze, tra le migliori del film, presentano un brano che ricorda molto la Manhattan di Allen, una carrellata in bianco e nero su una Milano affascinante, notturna e bagnata. E il giorno dopo qui ci fermiamo prima che il sipario si chiuda.

Tra gli interpreti, tutti bravi per sfumature come valore aggiunto alle prestazioni precedenti, spicca la prova di Fabrizio Bentivoglio che, abbandonata l’esagerata caratterizzazione di altri personaggi, regala allo spettatore misura e ironia, saggezza e frustrazioni in un mix da non dimenticare. Olga di Comite
VOTO:

 

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