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RECENSIONE FILM IL RAGAZZO CON LA BICICLETTA LE GAMIN AU VÉLO

IL RAGAZZO CON LA BICICLETTACRITICA a cura di Olga di Comite: Dall’amor familiare con sottofondo cosmico-biblico di Malick all’amore laico senza perché, ma offerto con naturalezza e generosità, dei fratelli Dardenne. Ogni forma di amore e di relazione procede presso gli umani tra percorsi spesso difficili, ma rimane il fatto che tale sentimento, sfuggente e profondo dai mille risvolti, è indispensabile per la nostra realizzazione, come l’acqua per la sopravvivenza.

I registi belgi, da sempre impegnati sui temi sociali alla Ken Loach, col quale condividono anche l’uso della camera a mano, un cinema di stampo neorealistico, lo stile asciutto fino al silenzio preferito alla parola, parlano per questo film in un’intervista, di una “commedia”. Se con tale termine intendevano riferirsi al fatto che nel finale s’intravede un lieto fine, chiamiamola pure così, ma in quanto ad atmosfere ed a caratteristiche dell’undicenne protagonista Cyril (Thomas Doret), c’è poco da ridere o da sorridere. Penso perciò che i registi si riferissero alla novità rappresentata dall’aria un po’ favolistica nella struttura del film (qualcuno ha citato Collodi) e soprattutto alla luce ottimistica che emana dalla protagonista femminile.

Questa specie di fata nella vita è banalmente una parrucchiera che vive come Cyril nella periferia di Liegi. Dopo un incontro fortuito col ragazzino difficile, che cerca ossessivamente di rivedere un padre quasi assente che l’ha abbandonato in istituto, Samantha (Cecile De France) , senza spiegazioni o motivi ma per un puro moto dell’anima, accoglie l’adolescente nella sua vita e ne diventa la futuribile madre, poiché della vera non si sa nulla. Per star dietro agli isterismi del ragazzo rinuncia anche alla sua relazione amorosa, peraltro grigetta, e lo salva dal rapporto con bulli e spacciatori che gli ronzano intorno. Questa gratuita offerta di amore risulta imbarazzante per chi ritiene che a detenere il primato educativo e affettivo sia soltanto la famiglia biologica tradizionale e certo una disponibilità così non è cosa che si incontri ogni giorno.

Tornando al nostro film, se devo indicare un limite del racconto, parlerei di una mancanza di approfondimento dei risvolti psicologici e di un andamento troppo lineare, privo di sorprese, ancor più per chi conosce già i Dardenne. Tali elementi vanno a scapito dell’intensità della narrazione, anche se la prova del neoattore Thomas Doret è di quelle che avranno un seguito.

Non era facile infatti tracciare questo ritratto di ragazzo chiuso, ostinato, quasi un tutt’uno con la sua bicicletta che gli serve per raggiungere (il padre che si nega), per fuggire (dal padre che non lo vuole), infine per condividere (una passeggiata e un pic-nic nel bosco con Samantha), fornendoci una bella metafora dell’uso delle due ruote, da cui il titolo. L’espressione indifesa e dura di Cyril, come la naturalezza dell’accoglienza umana di Samantha, sono sottolineate da immagini e sguardi che non si dimenticano. Olga di Comite
VOTO:

 

CRITICA a cura di Roberto Matteucci: “Non sogno mai”.
I fratelli Dardenne ci riportano con il cuore al 2005, con il film L’enfant, di cui Il ragazzo con la bicicletta è un seguito morale e fisico. Nel film L’enfant due adolescenti sbandati, persi hanno un figlio. Cercheranno di venderlo, incapaci di comprendere maternità e paternità. Alla fine lo tengono, ma il futuro di tutti può essere solo negativo.

Cyril potrebbe essere il bambino cresciuto, abbandonato con successo questa volta dal padre, un immaturo ragazzino disperato e smarrito. Il padre in entrambe le pellicole è lo stesso attore Jérémie Renier. E’ più di un collegamento.
Senza veli, pudori, senza nascondere nulla i fratelli ci espongono le vicissitudini interiori di un ragazzino, amato senza maturità; il quale cresciuto è capace di intendere la solitudine in cui la sua vita è precipitata. L’amore non esiste per lui salvo, quando, incontrerà una signora, ancora più bisognosa di affetto di lui.
La crisi della famiglia, una volontà inconsapevole della maternità e paternità, l’ingiustizia del nascere, del costruire rapporti ci sono descritti con passione e distacco.

I Dardenne trascurano i fronzoli, la ricercatezza fine a se stessa, gli effetti speciali, il gusto a stupire. Vogliono soltanto mostrarci con un realismo “da strada” vizi e virtù di persone normali, le quali senza colpa si trovano ad affrontare situazioni impossibili. Cyril è un ragazzino abbandonato da tutti, ansioso di essere desiderato. Non è un bambino simpatico, è aggressivo, irascibile, prepotente e bugiardo. Ha pochi atti di amore perché nessuno gli ha insegnato nulla. Non sa riconoscere chi gli vuole bene da chi vuole solo sfruttarlo.

Se a volte appare come un tenero bambino, spesso prevale il desiderio di dargli un calcio nel sedere per il suo comportamento arrogante. Questo riesce per la neutralità del linguaggio dei registi, immagini semplici, camera sui personaggi, colori realistici; in questo modo i nostri sentimenti variano rapidamente. Dopo aver compiuto un gesto scorretto il ragazzino impugna la sua bicicletta – unico legame con il padre - e compie un lungo viaggio.

La camera sempre su di lui, annaspa per fatica, si alza sui pedali per poi pedalare seduto. Questo per diversi minuti, senza stacchi, ripreso lateralmente. Quando arriva a destinazione appare per quello che è: un bambino.
Anche questa volta i Dardenne hanno un finale aperto, imparziale. Il seguito è tutto dentro di noi.
Roberto Matteucci

 

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