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RECENSIONE FILM IL NASTRO BIANCO DAS WEISSE BAND

IL NASTRO BIANCOCRITICA a cura di Olga di Comite: Ci sarà un motivo se in un periodo di crisi economica e di idee, mentre escono megaproduzioni costose ed inutili, qualche piccolo film riesce a tenerti quasi ferma sulla sedia per due ore e venti, preda dell’incantesimo delle immagini e della storia. A questa categoria appartiene Il nastro bianco di Michael Haneke, vincitore quest’anno della Palma d’oro a Cannes.

L’introverso regista austro-tedesco nasconde dietro la faccia impenetrabile da asceta medioevale una visone dell’uomo che non contempla riscatto alla sua disperante malvagità, spesso celata nell’apparenza normale del quotidiano e che non risparmia nessuno, neppure i bambini.

Siamo in un villaggio nella Germania del nord, ai primi del secolo, in prossimità della guerra ‘15-‘18. La locale comunità di agricoltori è dominata da un barone di stampo medioevale che la sfrutta, nonché da un’atmosfera rigida e glaciale legata al rigore protestante. C’è un pastore che non conosce esitazioni o dubbi nel fare applicare la legge divina anche ai suoi bambini; c’è un medico che dietro la sua scienza nasconde un pullulare di vizi e un sostanziale disprezzo della donna, tratto del resto comune a tutta la società del tempo che riconosce come unica autorità il padre. Le donne non esistono se non come carne da violare o come macchine per fare figli; unica eccezione a tale rigida stratificazione nel film la baronessa, un personaggio che accenna una qualche ribellione nei confronti del marito tronfio e insignificante.

Accanto ai padri, veri protagonisti nella storia sono i figli bambini o appena affacciatisi all’adolescenza. Sui loro volti biondi, sui nasetti camusi, negli occhi verdi e spesso cerchiati di nero, nessuna espressione di calore e di partecipazione. Essi vivono nella paura delle punizioni corporali, nel rispetto totale dell’autorità paterna, covando frustrazioni e inconfessabili sentimenti. Solo a momenti nei volti dei più piccoli compare l’orrore di quello che intuiscono senza capirlo (vedi scena in cui il figlio piccolissimo del dottore “scopre” le pratiche incestuose del padre verso la sorellina).

Si materializza qua e là la vendetta, supponibile ma non dichiarata, dei più grandicelli, sfogo di vittime su altre vittime. Nella parte più bassa della piramide sociale si agitano miseria e rassegnazione: l’unico tentativo di rivolta allo sfruttamento ad opera di un giovane agricoltore sfocerà nel suicidio del padre anziano, privato del lavoro e della possibilità di mantenere i suoi. Intanto nell’ordinata casa del pastore la minima trasgressione dei due ragazzi adolescenti viene stroncata con insopportabile durezza. E al loro braccio ricompare il nastro bianco (da cui il titolo), simbolo in passato della purezza e ora segnale di peccato. Frattanto nel corso del racconto si verificano episodi strani e violenti.

Il dottore cade da cavallo per un filo teso tra due alberi rischiando la vita; una contadina muore per un incidente nella segheria; brucia il granaio padronale; viene trovato legato e percosso il figlio del barone, mentre il bambino down del villaggio viene ferito e quasi accecato. Mentre la voce narrante, che è quella del maestro ormai vecchio, sta per svelare il mistero che grava su questi episodi, il pastore lo ferma. Nelle scene successive la comunità si ricompone nel rito domenicale in chiesa e si diffonde la notizia dello scoppio della prima guerra mondiale.

Il tutto è realizzato in un bianco e nero bellissimo, denso di forti chiaroscuri negli interni, mentre la stagione luminosa fuori è angosciante quasi quanto il silenzio della neve invernale. Figurine di donne e ragazzi sembrano uscite da quadri fiamminghi, i volti delle comparse sono scelti con cura come quelli dei protagonisti, gli attori sono bravissimi, professionisti e non (come i bambini). Sullo sfondo aleggia il cinema in bianco e nero del grande Bergman col suo linguaggio denso e cupo. Inevitabile infine pensare a germi di razzismo che possono covare in una generazione abituata a credere e a implodere odio e desiderio di vendetta, ieri come oggi. Olga di Comite
VOTO:

 

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