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RECENSIONE FILM IL CAIMANO

IL CAIMANO ANNO: Italia 2006

GENERE: Drammatico

REGIA: Nanni Moretti

CAST: Silvio Orlando, Margherita Buy, Jasmine Trinca, Michele Placido, Elio De Capitani, Giuliano Montaldo, Nanni Moretti, Jerzy Stuhr, Toni Bertorelli, Matteo Garrone, Luisa De Santis, Anna Bonaiuto, Antonello Grimaldi, Paolo Sorrentino, Cecilia Dazzi.

DURATA: 112 '

TRAMA: Bruno Bonomo (Silvio Orlando), un produttore di film horror dai titoli improponibili ("Mocassini assassini", "Maciste contro Freud") da più di dieci anni non riesce più a dirigere un film e sopravvive con le televendite girate nei suoi studi di posa. Il suo rapporto con la moglie Paola (Margherita Buy), indimenticata protagonista di "Cataratta", il suo ultimo film, è in crisi ma egli non riesce ad accettare l'idea di separarsi né da lei né, ancor meno, dai due amatissimi figli di 7 e 9 anni. Invitato da Tatti Sanguineti in un cineclub per una proiezione di "Cataratta", riceve da una regista di ventiquattro anni (Jasmine Trinca), che ha girato solo due corti, una sceneggiatura da leggere. Quando Bonomo capisce di non poter più produrre con l'aiuto della Rai un film su Cristoforo Colombo perché il regista di nome, ma ormai fuori giro da lui recuperato è stato contattato da Aurelio De Laurentiis, telefona alla giovane regista dopo una lettura "trasversale" del copione che gli sembra buono. Non si è reso conto però che si tratta di un film su Silvio Berlusconi. Dopo il rifiuto della Rai, si offre di aiutarlo un famoso produttore polacco che è molto critico verso il nostro paese ma desidera lavorare con il famoso attore Marco Pulci (Michele Placido). Vengono allestiti vari set ma quando Pulci, dopo aver accettato, rinuncia con una scusa ad interpretare lo scomodo ruolo, Bonomo vede crollare i suoi sogni. Mentre il produttore vede la sua vita privata e professionale risorgere e poi affondare senza rimedio, nello stesso tempo assistiamo alle diverse incarnazioni di un moderno predatore, Il Caimano, appunto...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Ho avuto da sempre simpatia e ammirazione per il Nanni nazionale, simpatia per la sua fama di antipatico intelligente, con l’occhio luminoso e sornione, ammirazione per la coerenza e indipendenza dell’autore e produttore e anche (confessiamolo) per l’uomo attraente, espressione di se stesso, ma anche di una generazione nella quale mi riconosco.
Mi si perdonerà perciò di cantare un po’ al di fuori del coro. Non dico che Il Caimano sia un brutto film, ma penso che non sia il migliore di Moretti. Le mie preferenze rimangono dalla parte de "La Stanza del figlio" e "Caro Diario". La sua ultima creatura, pur essendo un’opera ricca, stratificata e matura, non mi convince per alcune scelte che sono insieme di contenuto e di stile. Tali scelte riguardano proprio il versante politico, dichiarato ed esplicito, del discorso. Nel mentre non mi dispiace l’analisi più profonda del fenomeno berlusconismo, non trovo né bella né utile la presenza diretta del personaggio con nome cognome e filmati di repertorio, nonché il monologo finale del presidente condannato che si allontana in macchina dal tribunale. Efficace la scelta di interpretarlo lui in queste ultime battute, di essere film nel film, ma ambiguo il discorso che fa apparire Il Caimano quasi vittima dei suoi alleati, che ha invece innalzato al potere.
Mi pare quasi di sentirli quegli italiani (e sono tanti) che lo sostengono, commentare: "E' proprio così, ha ragione!"; sfugge infatti loro che il discorso negativo è proprio l’avere immesso in un brutto sistema di potere tanti servi sciocchi, pronti a servir tacendo.
Se Nanni Moretti fosse rimasto al personaggio simbolo - un autocrate, demagogo, creatore di un plagio mediatico che ha come oggetto quella parte di popolazione pronta a lasciarsene conquistare, maestro di corruzione intellettuale, nonché in senso proprio - il film avrebbe volato più in alto, senza nulla perdere di significato nella parte volutamente politica, volutamente impegnata e non neutrale. Eliminate alcune modalità da propaganda pre-elettorale, l’opera sarebbe forse risultata più compatta anche nelle sue varie sfaccettature, perché, intendiamoci, in essa non parla solo uno dei leader dei girotondi che suonarono la sveglia a una sinistra inerte e chiusa nei suoi giochi di partito. Quando il nostro racconta, parla anche di vite quotidiane, di cinema, di affetti, di relazioni difficili. Anche ne Il Caimano troviamo perciò citazioni di maestri (Fellini e Truffaut soprattutto, ma non solo) accanto a riflessioni sulla vita di coppia, sul rapporto coi figli, sullo stato della nostra cinematografia, sulla censura ed autocensura, sulla mancanza di coraggio nel fare il proprio lavoro. Quindi fermarsi al versante politico del discorso è fuorviante e in malafede, come lo è non tenerne conto con paternalistiche lodi all’enfant terrible, intelligente e bravo, purtroppo o per caso, anche schierato in modo personalissimo con i comunisti.
Anche la scelta degli attori è tipicamente morettiana: accanto a professionisti, spesso amici, appaiono nel film colleghi giovani e non più giovani, che interpretano ruoli vicini al loro mestiere. Il personaggio principale è poi un produttore di film minori (un Silvio Orlando dalle molte sfumature), innamorato come un adolescente del suo mestiere. Accanto a lui, nella parte della moglie, Margherita Buy, dolce e meno nevrotica del solito, ma sempre più convincente come attrice. Da manuale l’interpretazione di Michele Placido e in crescita la bravura di Jasmine Trinca, scoperta dallo stesso regista ne "La stanza del figlio".
Riferire la trama dell’opera mi sembra esercizio inutile, perché se ne è parlato in lungo e in largo su stampa, Tv e radio; del resto è stato lo stesso regista, abbandonando la tradizionale ritrosia alla promozione di un suo lavoro, a presentarlo in varie sedi. In quanto a me, passate le elezioni, comincerò pazientemente ad aspettare la commedia promessa da Nanni, sicura che mi stupirà e mi farà ridere, inutile dirlo, da autore. Olga di Comite
VOTO:

 

CRITICA a cura di Gianni Merlin: Cinque anni di silenzio cinematografico intervallati dall’esperienza attiva in campo politico hanno creato uno spasmodico hype sull’ultima fatica morettiana e avrebbero dovuto far meditare con oggettiva tranquillità il buon autore romano sulla bontà degli ingredienti che dovevano essere presenti ne Il Caimano, ultima fatica del nostro che sta riscuotendo un generale apprezzamento da parte del pubblico italiano.

Paradigma corporeo delle ossessioni, notoriamente tormentato da tic comportamentali, svogliato portatore di una indulgente caratterizzazione generazionale non sempre di appartenenza politica, semmai culturale, feroce accusatore dei vizi di una certa italietta borghese “radical chic”. Tutte queste sfaccettature hanno progressivamente delineato l’universo familiare del buon Nanni e di esse si possono trovare tracce concrete in tutti i film precedenti all’interno di storie stilisticamente compatte e coerenti. Ne Il Caimano tutte le storiche peculiarità di Moretti sono presenti in forma mai così lampante, le sue manie fuoriescono libere quasi che la sua ossessione maggiore, il silvioberlusconipensiero, abbia dato linfa vitale ad una voglia di esteriorizzare in fondo uno stile oramai riconoscibilissimo.

Ma serviva proprio dover parlare direttamente del Berlusca per ritrarre lo stato confusionale dell’italiano medio morettiano attuale o, viceversa, bisognava forse per forza usare l’artifizio cinematografico per dire veramente le cose come stanno? Moretti nelle sue recenti interviste promozionali si è sforzato di dire che questa sua opera tutto è fuorché un film di matrice politica, ed in effetti se si dovesse conteggiare il minutaggio concesso al Presidente durante il film ci si dovrebbe appellare alla par condicio, in quanto molto ci si sofferma sulle tormentate vicende del povero Buonomo (Silvio Orlando), mestierante da film come Cataratte catapultato in una storia più grande di lui.

Silvio Orlando ci si butta carne ed ossa nel tentativo riuscito di dare vita a un’idea di cineasta passionale che rappresenta anche un’idea del cinema italiano, alle prese con la riduzione di fondi e fonti, sempre spiazzato dalle produzioni, ridotto al cinema di serie B magari splatter, ridicolizzato qui da Moretti di cui è nota l’avversione. Si vive molto delle vicende che attorniano la nascita del film dentro al film e ne esce una cosa anche piacevole, ma che sa un po’ troppo di cinefilo e poco interessante per lo spettatore medio. Forse quest’ultimo si appassiona maggiormente al naufragio del matrimonio fra Orlando e la Buy, tratteggiato con la grazia e la soavità autoriale che avevano contraddistinto “La stanza del figlio”, in scene fatte di sguardi, gesti e situazioni colte nella loro drammatica naturalezza, che per pochi attimi trascinano sulla sfera dei sentimenti situazioni al limite del surreale.

Ecco, tutto questo che c’entra con Berlusconi profeta di una generazione di incivili, aizzatore di folle contro i giudici in un peraltro bellissimo finale feroce ed agghiacciante? Purtroppo non c’entra molto o forse la materia troppo forte, di nuovo l’ossessione è sfuggita di mano al regista romano ed è chiaramente stridente come la dolcezza di certe scene cozzi in modo brutale con la drammaticità del presente politico: peccato perché per assurdo l’analisi dei singoli filoni di cui Il Caimano è composto porta ad un risultato del tutto superiore alla loro unione cinematografica, segno di disomogeneità, di qualcosa per lo meno ibrido stilisticamente, in sostanza di aver voluto dire troppe cose nell’ora e quaranta di durata, segno che a volte 5 anni di silenzio possono non essere sufficienti ad evitare un eccessivo coinvolgimento passionale che ha impedito di dare linearità alla pellicola. Che sia tutta colpa di Berlusconi, o forse, visto che “ è sempre tempo per una commedia”, non sarebbe proprio il caso di darsi in tutto e per tutto all’ironia per sdrammatizzare le cose? Gianni Merlin

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