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RECENSIONE FILM DIREKTØREN FOR DET HELE IL GRANDE CAPO

IL GRANDE CAPOANNO: Danimarca 2006

GENERE: Commedia

REGIA: Lars von Trier

CAST: Jens Albinus, Peter Gantzler, Fridrik Thor Fridriksson, Benedikt Erlingsson, Iben Hiejle, Henrik Prip, Mia Lyhne, Casper Christensen, Jean-Marc Barr, Louise Mieritz.

DURATA: 99 '

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TRAMA: Il proprietario di una società di informatica mette in vendita l'azienda e per coprire una serie di scelte impopolari decide di inventarsi la figura di un finto Presidente, che nessuno ha mai visto. Tuttavia, quando i possibili acquirenti della società cominciano ad insistere per incontrare faccia a faccia il "Boss", l'uomo assume un attore fallito per interpretare il ruolo del Presidente...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Se di leggerezza si tratta, è comunque una leggerezza alla danese, intelligente, un po’ austera, condotta avanti per dialoghi fitti di “cose”, con puntate sulla satira sociale e il politicamente corretto.
Certo è un lavoro diverso da quelli che finora abbiamo visto. Sospesa la Trilogia Americana con al centro il personaggio di Grace ("Dogville" e "Manderlay"), Von Trier ci porta con quest’opera presentata al festival internazionale di Copenaghen nella sua terra d’origine, dalla quale non ama allontanarsi per viaggiare e nella quale ha creato degli studios molto particolari, di cui è il personaggio principale.
Al centro del film una situation comedy, basata su un vecchio topos teatrale: la simulazione. Un attore, modesto e un po’ fallito, molto compreso del suo ruolo, deve fingere di essere un personaggio che non esiste fisicamente, appunto il grande capo. Un genere classico, ma girato alla "Dogma", anche se al posto della tradizionale cinepresa a spalla viene usato un nuovo sistema, l’Automavision. In esso la macchina è collegata ad un computer; il regista sceglie solo la prima inquadratura mentre il resto è girato automaticamente, senza che gli attori sappiano dove la macchina va a puntare. Tale tecnologia crea effetti meno emozionali e diretti, essendo la camera molto più fissa.
Ma non c’è da credere a Von Trier quando dichiara che il racconto è innocuo, semplice, “senza sermoni”. Qua e là infatti il sermone affiora, sia nel dialogo (“la vita è come un film Dogma”), sia nei siparietti (stacchi in cui il regista interviene come narratore), sia nei contenuti (la satira sui capetti pronti a licenziare per un grosso profitto e sugli stereotipi freudiani).
Il gioco sulla pelle dei dipendenti di una piccola azienda informatica parte quando il dirigente (in realtà il proprietario) è costretto dare un volto al grande capo. Nessuno l’ha mai visto, ma con lui gli impiegati hanno avviato un dialogo personale via email. Perciò ciascuno di loro si è fatto un’idea dell’uomo invisibile, mentre a rispondere è stato sempre il cinico Ravn (Peter Gantzler). C’è quindi l’impiegata convinta che il boss si sia innamorato di lei, quella che lo ritiene gay e vuole metterlo alla prova, quello che lo stima come esperto informatico. Ma al momento di vendere l’azienda e licenziare il personale, i nuovi acquirenti vogliono trattare solo col più alto livello. Di qui la necessità di ingaggiare l’attore.
Il meccanismo però s’inceppa quanto il simulatore Kristoffer (Jens Albinus) capisce di essere fondamentale per la chiusura dell’operazione e si ribella alle indicazioni di Ravn per poi arrivare alle sue stesse decisioni, ma in nome dell’arte. Nel finale a sorpresa Lars Von Trier ci pone così davanti a un bel problemino, facendo riflettere sul come, anche in nome dell’idoleggiamento astratto dell’arte, si possano compiere azioni disumane e discutibili. Il tutto con buona pace degli impiegati, comunque raggirati e senza posto. Vi pare leggera la conclusione del nostro lucido e originale danese? Olga di Comite
VOTO:

 
 

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