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RECENSIONE FILM IL SEGRETO DI VERA DRAKE

IL SEGRETO DI VERA DRAKEANNO: Gran Bretagna 2004

GENERE: Drammatico

REGIA: Mike Leigh

CAST: Imelda Staunton, Philip Davis, Jim Broadbent, Heather Craney, Peter Wight, Adrian Scarborough, Daniel Mays, Alex Kelly, Sally Hawkins, Eddie Marsan, Ruth Sheen, Helen Coker, Martin Savage, Fenella Woolgar, Sinead Matthews, Sam Burke, Daniel Hatkoff.

DURATA: 125 '

TRAMA: Londra, 1950: Vera Drake (Imelda Staunton) vive con suo marito Stan (Philip Davis) e i suoi figli ormai grandi, Sid (Daniel Mays) e Ethel (Alex Kelly). Non sono ricchi ma sono felici e uniti. Vera fa la domestica, Stan è meccanico nell'officina del fratello, Sid fa il sarto e Ethel lavora in una fabbrica provando lampadine. Vera, però, si dedica anche ad un'altra attività che tiene nascosta a quanti la circondano: senza farsi pagare, aiuta giovani donne a interrompere gravidanze indesiderate... Quando una di queste ragazze viene ricoverata di urgenza a seguito di un aborto, le indagini coinvolgono Vera e il suo mondo le crolla addosso...

CRITICA a cura di Gianni Merlin: La presenza di un film di Mike Leigh allinterno di un festival, magari collocato alla metà della programmazione, rappresenta da sempre un punto fermo per la folla di buongustai di cinema, che spesso alle prese con visioni forzate o sonnolenti kolossal, riscoprono la semplice bellezza di una "bella" storia sul grande schermo. Fortunatamente, non si sottrae a questa virtuosa legge neanche Vera Drake, secondo film dopo "Magdalene sisters" con tema centrale di forte impatto sociale ad essere coraggiosamente premiato recentemente con il Leone d’oro.
Leigh racconta le vicende di Vera, donna di mezza età, e famiglia che nella Londra del primo dopo guerra pratica aborti illegali, a fronte di una vita passata completamente alla cura del prossimo, dove per prossimo si può intendere il figlio, come la madre come qualsiasi altro essere che a Vera dia la parvenza di meritare un aiuto.
Duplice è l'angolo di visione della pellicola da parte del regista, che da un lato ci presenta, con un'abilità derivante dalla sua esperienza adolescenziale, una franca e quasi agreste immagine della situazione dell'Inghilterra dopo il conflitto mondiale: un paese con cittadini totalmente dediti al lavoro, toni smorzati, poco cibo e spesso cattivo, ma soprattutto facce vecchie, provate, fascinose per certi versi, ma che dimostrano molti più anni di quanti ne portano; in sostanza, una dimensione piuttosto desolante, anche se vissuta con il classico orgoglio di chi vive di poche cose.
A questa desolazione materiale Leigh contrappone la solarità di Vera Drake, il suo sorriso sempre conciliante che l'ottima Imelda Staunton ci propone; Vera trasuda purezza in ogni movimento, è l'elemento positivo che funge da collante ai fragili equilibri della famiglia (chiodo fisso leighiano), che ne rappresenta lo stantuffo e l'unione stessa intesa in senso religioso; l'interpretazione è così viscerale che allo spettatore risulta veramente credibile che un tale personaggio non possa mai aver dubitato sulla bontà delle proprie azioni: più volte Vera descrive il suo comportamento da reato penale semplicemente come un tentativo di aiuto a ragazze bisognose, e noi gli crediamo, perché trapassati dal suo sguardo senza ombre.
Già così ci si potrebbe definire soddisfatti dalla visione della pellicola, ma non si può non parlare della lettura chiaramente politica che Leigh vuole dare alla sua opera, così come in quasi tutto il resto della sua filmografia ha voluto dare, essendo costretto a parlare spesso del nucleo fondamentale della società, la famiglia, i cui rapporti di forza, le dinamiche interne prendono piede da aspetti di carattere socio.-economico; in Vera Drake, ad esempio, Leigh va oltre, non solo per aver comunque posto attenzione sul fenomeno dell'aborto, cercando comunque di privarlo di connotazioni ideologiche inutili nel 1950, ma dandone una valenza di distinzione sociale molto forte all'interno del contesto sociale: l'impossibilità di proseguire la gravidanza sfocia in due comportamenti distinti a seconda del ceto sociale di appartenenza, e se per le ragazze più abbienti la strada è costellata da grossi esborsi di sterline, figuracce al limite del ridicolo verso presunti medici di alto rango, per le povere donne di quartiere Leigh sembra dire che non ci fosse altro rimedio che affidarsi alle esperte mani di Vera Drake. Gianni Merlin
VOTO:

CRITICA a cura di Olga di Comite: In mezzo a tanti film calligrafici ma inerti o centrati attorno ai problemi della psiche e dell'innamoramento, a ricordarci che esistono questioni sociali sempre problematiche, ieri come oggi, provvedono due dei più noti registi inglesi: Ken Loach e Mike Leigh. Il primo più duttile e vivace, il secondo tipico esempio di un pensoso understatment anglosassone. Nell'ultima opera, Leone d'Oro a Venezia 2004, Leigh ritorna come in "Segreti e Bugie" e "Belle Speranze", sull'osservazione del microcosmo familiare, specchio riflettente e riflesso della società in cui si colloca. E ci propone un racconto nel quale essenzialità, misura, commozione si uniscono, dando vita a un'opera semplice, classica nel linguaggio (un po' manierato), ma che va diritta al cuore e alla sensibilità di chi guarda. Maestro nell'ambientazione, egli tratteggia una Londra di modesti popolani Anni '50, che vivono in anguste case, lavorano in luoghi freddi e squallidi, circolano per strade sporche e male illuminate. Tra di loro esercitano una solidarietà senza smancerie e mantengono, al fondo, una voglia di risalire, migliorare dopo la devastante esperienza della guerra. Al centro della trama Vera, una comune e modesta domestica nelle case dei ricchi e un piccolo angelo del suo quartiere. Muovendosi rapida tra le palazzine popolari d'un brutto verde scuro, trova il tempo di passare a visitare vicini soli e malati, mentre con positiva alacrità si prende cura anche della sua famiglia e della vecchia madre. Quasi sempre di buon umore, è lei il punto di riferimento del marito, meccanico nell'officina del fratello; ed è sempre lei ad affiancare due figli adulti e desiderosi di avere un posticino nel mondo. La figlia, timida in maniera morbosa, goffa e impacciata, lavora come operaia e sogna un marito che sembra aver trovato in un vicino altrettanto solo e disadattato. Il figlio, commesso presso una sartoria, è un ragazzone vivace, molto legato alla madre. La famigliola attraversa un buon momento proprio quando scoppia la bomba. Infatti, tra le altre attività di Vera, c'è quella, tenuta celata a tutti, di aiutare ad abortire gratuitamente ragazze in difficoltà. Nella sua mente e nel suo vocabolario non esiste però la parola aborto, per lei si tratta solo di regolarizzare ritardi mestruali e di questo è convinta con candida e totale adesione. Con la sua attrezzatura modestissima e metodi rudimentali, la donna cerca quindi di dare una mano a chi le si rivolge per necessità, mentre la figlia della sua padrona se ne va tranquillamente in clinica. Un'interruzione andata a male e conclusasi in ospedale, perché la giovane ha rischiato di morire, porta la polizia a scoprire tutto. Proprio la sera in cui il gruppo familiare è riunito a festeggiare il fidanzamento della figlia Ethel, Vera viene arrestata e portata via tra lo sgomento dei suoi e il disagio degli stessi poliziotti. Così come avveniva nelle sequenze finali di "Segreti e Bugie", inizia anche qui tra i personaggi un confronto-scontro di una forte intensità emotiva, pur evitando il regista toni alti e melodrammatici. La nostra involontaria eroina si rende conto della sua colpa solo quando si sente ufficialmente accusata di aborto procurato, parole che prima non esistevano nella sua mente. La cosa la travolge e dalla sua bocca non escono che suoni inarticolati, fino a che non finisce con l'accettare con rassegnazione la condanna ed è costretta a prendere atto di un modo di valutare la realtà completamente opposto al suo, un modo che non tollera la solidarietà e preferisce esercitare la propria ingiusta giustizia. Nè sfugge alla fine che la tematica cui Leigh si accosta è ancora oggi attuale, poiché l'ondata di restaurazione politica in atto fa pensare molti a una rimessa in discussione della legislazione sull'aborto, conquistata a fatica in molti paesi d'Europa. D'altra parte l'autore, pur sostenendo chiaramente una tesi, non ci dà un film idelogizzato, ma un racconto che parla nella sua oggettività. La posizione laica del regista non esclude la consapevolezza di quanto sia delicato e complesso il problema. Di questo dobbiamo dargli atto, come del fatto di non giudicare nessuno e di ribadire che l'accettazione di un figlio è fatto di profonda rilevanza personale e sociale. Le domande e i dubbi religiosi sono altra cosa. In sintesi un'opera che rimane nella memoria, splendidamente interpretata da protagonisti e comprimari, facenti parte di quella scuola inglese con profonde radici nell'esperienza teatrale e una piccola donna che va ad arricchire la galleria di eroi-antieroi di cui si ha sempre bisogno. Olga di Comite
VOTO:

SPIGOLATURE

Presentiamo le credenziali di tutto rispetto di Imelda Staunton, poco nota al grosso pubblico italiano. A teatro Imelda ha vinto tre Oliviers, il premio teatrale più prestigioso in Gran Bretagna: uno come migliore atttrice protagonista in "The Corn is green" all' Old Vic; il secondo per "A Chorus of disapproval" al National Theatre; il terzo come migliore attrice nel musical "Into the woods". Fra le altre apparizioni ricordiamo i lavori con la Royal Shakespeare Company: uno per tutti "Habeas Corpus" con regia di Sam Mendes. Come interprete cinematografica ha lavorato in "Shakespeare in love" (premio Oscar), "Ragione e Sentimento" e in "Gli amici di Peter" e "Tanto rumore per nulla", entrambi di Kennet Branagh.
In quanto a Mike Leigh vorrei citare un brano tratto da un'intervista rilasciata ad Arianna Finos, il giorno dopo la vittoria a Venezia: << La morale del 2004 è sicuramente diversa da quella degli Anni '50, ma nel ventunesimo secolo continuano ad esserci dibattiti sull'aborto. Per esempio la posizione del Vaticano non è cambiata... C'è una seria minaccia che in molti paesi si torni alla situazione precedente, quando l'aborto non era legale, cambiando le attuali leggi... Si tratta di un tema particolarmente delicato, perché si parla della distruzione di una vita, eppure c'è da chiedersi: vogliamo tornare ad avere la società dell'epoca di Vera Drake? >>.
Chi ha orecchie per intendere intenda, e comunque io penso che molte donne, a cominciare da me, sarebbero pronte a lottare con la stessa convinzione di tanti anni fa, se si volesse tornare indietro. Questo vale anche per l'orribile legge sulla fecondazione assistita e per il dibattito sull'uso delle cellule staminali. Il problema del rapporta tra coscienza individuale e sociale e dettami religiosi rimane infatti attualissimo.

 

INVITO

Invito a rivedere in video cassetta i due film di Kennet Branagh sopra citati per godere della bravura di Imelda Staunton.
Invito a rivedere "Belle Speranze" e "Segreti e Bugie", tra i film migliori di Mike Leigh.
Invito alla lettura di "Se così vi piacciono" di Pamela Berkman, affettuoso omaggio narrativo a Shakespeare e alle figure femminili vere o inventate che ruotano intorno a lui.
Invito alla lettura di "Ragione e Sentimento" di Jane Austin, perché è un romanzo specchio della società inglese in un altro periodo storico. E perché non rileggere anche "Nedda" di Giovanni Verga?

 

PROVOCAZIONI

1. Sbaglio o il "turismo medico" che si profila per superare i limiti della legge sulla fecondazione assistita renderà oggi possibile avere figli solo alle coppie sterili ricche, così come ieri assicurava la possibilità di non averne solo alle donne abbienti?

2. Cosa significherebbe oggi un ritorno all'indietro sulla legge che regola l'aborto in termini di diritti civili e di laicità dello stato?

2. Perché la Chiesa cattolica non chiude tutti gli orfanotrofi da lei gestiti e lo stato non dà in adozione con procedure snelle e rinnovate quei bambini alle tante coppie disposte a prenderli?

4. Pierpaolo Pasolini, sempre fuori dal coro, in un suo articolo che tanto fece discutere, apparso sul Corriere della Sera del 19/01/75, così si esprimeva. << Sono traumatizzato dalla legalizzazione dell'aborto, perché la considero una legalizzazione dell'omicidio... Nel contesto democratico si lotta per la maggioranza, ma si trova che la maggioranza nella sua santità ha sempre torto... L'aborto legalizzato è infatti una enorme comodità per la maggioranza. Soprattutto perché renderebbe ancora più facile il coito - l'accoppiamento eterosessuale - a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli... Tutto ciò che sessualmente è diverso è invece ignorato e respinto... >>.

 

a cura di Olga di Comite

CRITICA a cura di Silvia Benassi: Mantenere un segreto per quasi vent'anni, mentire alla persone che ti sono più vicine, a tuo marito, ai tuoi figli, nascondendo loro una parte della tua vita. Questo è esattamente quello che fa Vera Drake (Imelda Staunton) che, nella Londra popolare degli Anni '50, in un clima che ancora risente fortemente degli echi della seconda guerra mondiale, tra una tazza di té e l'altra, aiuta le ragazze rimaste incinte ad abortire, mettendo così in atto una pratica illegale per quei tempi. Quello di Vera è il bellissimo personaggio di una donna che struttura la propria vita in funzione degli altri, sia che si tratti della madre malata, dei suoi figli, del marito o di un sempilce ragazzo solo che accoglie in casa sua; ogni sua azione sembra essere mossa dalla generosità e dalla bontà di cuore. Lo stesso, paradossalmente, vale per gli aborti perchè quello che fa non è interrompere gravidanze ma, come lei stessa dice, aiutare delle ragazze che si trovano in difficoltà, senza chiedere loro niente in cambio. La sua, infatti, non è una scelta dettata dall'avidità e dalla volontà di arricchimento, diversamente dall'amica che è poi colei che trova le ragazze e che fa di questa pratica una consistente fonte di guadagno, ma deriva dalla semplice comprensione di come una gravidanza in situazioni particolari, perchè frutto di una violenza o perchè si tratterebbe del settimo figlio quando se ne hanno già sei che quasi non si riscono a sfamare, può sembrare un problema insormontabile e lei, Vera, che sa perfettemante cosa ciò vuol dire perchè ci è passata a sua volta, offre loro una soluzione.
Leigh realizza un film davvero bello, giustamente vincitore del Leone d'Oro alla 61esima Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, e non si preoccupa di passare un giudizio morale su quanto viene compiuto da questa donna, sulla sua scelta consapevole di infrangere una legge; il regista ci mette semplicemente davanti ad una situazione lasciando a noi l'interpretazione, anche se alla fine risulta difficile riuscire ad assumere un punto di vista che non sia quello della stessa Vera ma non perchè si voglia giustificare il suo reato ma per il profondo grado di coinvolgimento che la storia è in grado di offrire. Il merito di questo è attribuibile, oltre che alla bravura di Leigh, sicuramente alla straordinaria interpretazione di Imelda Staunton, anch'essa premiata a Venezia coma miglior Attrice con la Coppa Volpi.
Un film da vedere che ha il merito di farci riflettere su un tema di sempre grande importanza come quello dell'aborto e sul quale ciascuno può avere le proprie opinioni, più o meno legate alla sfera della morale e della religione, ma che è sicuramente un diritto che è stato duramente conquistato, nel quale molte donne come Vera hanno creduto e per il quale hanno pagato. Silvia Benassi
VOTO: 8

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