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RECENSIONE FILM NAMESAKE IL DESTINO NEL NOME

IL DESTINO NEL NOMEANNO: India / U.S.A. 2006

GENERE: Drammatico

REGIA: Mira Nair

CAST: Kal Penn, Tabu, Irrfan Khan, Jacinda Barrett, Zuleikha Robinson.

DURATA: 122 '

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TRAMA: I Ganguli sono giunti negli Stati Uniti dall’India per vivere in un mondo di opportunità illimitate e devono confrontarsi con i pericoli e la confusione derivanti dal tentativo di dare un significato alla vita in una società nuova e sconcertante.
Poco dopo la celebrazione del loro matrimonio combinato, Ashoke (Irrfan Khan) e Ashima (Tabu) lasciano la soffocante Calcutta per approdare in un’invernale New York dove iniziano la loro vita insieme. I due sono praticamente sconosciuti l’uno all’altra, e Ashima si trova catapultata in un mondo nuovo e molto strano.
La vita della coppia prende una svolta decisiva quando nasce il loro figlio.
Nella fretta di dargli un nome, Ashoke decide di chiamarlo Gogol, come il celebre autore russo: è un nome che ha un legame con un passato segreto e, come spera Ashoke, un futuro migliore. Ma la vita per lui non è facile come i genitori avevano sperato.
Nei panni di un adolescente americano di prima generazione, Gogol (Kal Penn) deve imparare a tracciare una sottile linea di confine tra le radici bengalesi e l’americanità acquisita per poter trovare la sua identità.
Mentre tenta di forgiare il proprio destino – rifiutando il nome, frequentando una ricca ragazza americana (Jacinda Barrett), decidendo di studiare architettura a Yale – i suoi genitori restano attaccati alle tradizioni bengalesi...

CRITICA a cura di Gabriela Saraullo: Il Destino nel nome si basa sul romanzo The Namesake (L’omonimo) della vincitrice del premio pulitzer Jhumpa Lahiri, storia di una famiglia dell’India immigrata negli Stati Uniti. La regista Mira Nair, così come la scrittrice, hanno una storia simile a quella dei protagonisti: vivono negli Stati Uniti ma mantengono un profondo legame con le origini indiane e percepiscono il conflitto interiore tra la ricerca di appartenenza e la difficoltà di vivere in bilico tra culture diverse.

Il tema non è originale ed è stato già descritto anche da altri registi. Riguarda e vale a dire il trasferimento in un paese dove tutto è possibile, dove - grazie al sogno americano - si riesce a conquistare un pezzettino di felicità, ma dove emerge anche il contrasto tra due mondi molto lontani tra di loro. In questa trasposizione cinematografica troviamo l’onestà, la credibilità e il ritratto di quello che interessa maggiormente la regista, vale a dire le tensioni culturali e razziali che esistono ovunque.
Uno dei personaggi più rilevanti è quello di Ashima, una giovane nata a Calcutta che si sposa secondo le tradizioni indiane, segue suo marito negli Stati Uniti sostituisce la soffocante Calcutta con la gelida New York e si adatta poco a poco al nuovo stile di vita ma con grande sofferenza soprattutto a causa della lontananza dagli affetti più cari. Con il tempo imparerà a conoscere e ad amare suo marito Ashoke e ad accettare i cambiamenti in suo figlio “Gogol”, un giovane che cresce con il peso delle contraddizioni di due culture a confronto, due diversi stili di vita che si scontrano e si ritrovano. Tutto cammina di pari passo in questo racconto che gira soprattutto intorno all’immagine della famiglia.

Grande è il rischio di affondare in un terreno troppo emotivo e cadere nel melenso. Ci troviamo, invece, di fronte ad una profonda riflessione sulla propria identità, sull’appartenenza ad una comunità e sulle proprie radici ai tempi della globalizzazione; oltre che su temi quali la morte, l’amore, le coppie miste, i matrimoni combinati, la necessità di separarsi dagli affetti più cari i problemi dell’immigrazione e i conflitti generazionali. Un viaggio emozionale attraverso scelte difficili come quella della scelta del nome del figlio, tra “Gogol” (riferito allo scrittore russo) e Nichel (americanizzato Nik).
Gogol non riesce a trovare il suo posto tra la cultura indiana dei genitori e la società americana nella quale è cresciuto; la sua vita non è poi così facile. I cambiamenti di nomi sono associati a cambi di identità. Come adolescente americano di prima generazione deve imparare a camminare su quella sottile linea che separa le sue radici bengalesi dai diritti di essere americano. Cerca di essere l’artefice del proprio destino ed è per questo che rifiuta il nome indiano, si fidanza con una ragazza americana e studia a Yale; i suoi genitori, al contrario, si aggrappano alle proprie tradizioni.

Questa dicotomia è molto forte ed è espressa in tutti i suoi aspetti: visuale nei costanti confronti tra le due città; narrativi e addirittura sonori. Le immagini contrapposte del Taj Majal e di una New York innevata acquisiscono valore dato che sono subordinate allo stato d’animo della madre carismatica, del saggio padre e dei figli che si renderanno conto che la distanza maggiore non alberga tra nazioni e culture ma nei loro silenzi intorno al tavolo. Così come il curry è un mix di spezie, il film è un mix di colori, di racconti, di poesie e di sofferenze.
La storia d’amore dei genitori di Gogol è profonda e non convenzionale. Quando si sposano sono due sconosciuti ma poi, poco a poco, imparano a conoscersi e si innamorano. Il loro amore non consiste nel dirsi ti amo o baciarsi in continuazione, ma si percepisce nel loro sguardo.
Coesistono diversi punti di vista della storia in modo tale che lo spettatore riesca a trovare una chiave di lettura dei personaggi; anche se l’attenzione viene canalizzata direttamente su Gogol, come il confine tra passato e futuro, come nuova generazione che cresce condizionata da due forze, da due culture. Non a caso non sa bene quale nome scegliere tra quello orientale e quello occidentale e lottando contro questa dicotomia lui passerà gran parte della sua vita prendendo alcune decisioni sbagliate che lo porteranno a confrontarsi con dilemmi esistenziali e parodie insospettabili.

Mira Nair non prende posizione e si mantiene al margine della storia. Non moralizza sulle scelte dei protagonisti; al contrario, ogni conflitto sembra diluirsi in se stesso e le decisioni di ognuno di loro vengono spiegate e raccontate dettagliatamente e non sempre sono prevedibili.
Il film funziona bene sui livelli intimi, nell’evoluzione del personaggio di Ashima – in lei un cambiamento lento ma ininterrotto. L’abnegazione e lo spirito di sacrificio nel primo periodo a New York, le sequenze di nostalgia, la sua adolescenza in una società repressiva e infine la libertà delle proprie decisioni che le permetterà di trovare il suo posto nel mondo. Il ritmo è pacato con lunghe pause e con tanti dialoghi; la narrazione che riesce ad avanzare grazie ai salti temporali e ai numerosi avvenimenti, mostrando - con dolcezza - alcune questioni che molte volte si trasformano in conflitti, valorizzando così le origini, il concetto di famiglia e il necessario adeguamento ai tempi moderni
. Gabriela Saraullo
VOTO:

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