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RECENSIONE FILM LA RAGAZZA DEL LAGO

LA RAGAZZA DEL LAGOANNO: Italia 2007

GENERE: Thriller

REGIA: Andrea Molaioli

CAST: Toni Servillo, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Anna Bonaiuto, Nello Mascia, Marco Baliani, Fausto Sciarappa, Heidi Caldart, Denis Fasolo, Giulia Michelini, Franco Ravera, Sara D'amario.

DURATA: 95 '

TRAMA: Il commissario Sanzio (Toni Servillo) viene inviato in un piccolo villaggio del nord Italia per indagare sulla scomparsa di Marta (Nicole Perrone), una bambina di sei anni.
Dopo aver dormito in casa di una zia, la bambina era uscita e aveva incautamente accettato di salire sul furgone di Mario (Franco Ravera), un giovane con problemi psicologici, che l'aveva portata nel suo casale. Accompagnato dall'ispettore Siboldi (Fausto Maria Sciarappa), nato e cresciuto da quelle parti, Sanzio comincerà ad indagare e scoprirà un delitto ancora peggiore. In riva al lago viene infatti ritrovato il corpo senza vita di una ragazza bellissima.
Si chiama Anna (Alessia Piovan), era fidanzata con Roberto (Denis Fasolo) e aveva lavorato per molto tempo come baby-sitter per la famiglia Canali, fino a quando il piccolo Angelo era morto in strane circostanze mai chiarite. Pian piano Sanzio capirà che la facciata pulita degli abitanti del villaggio non è linda come vorrebbero farla apparire...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Con l’autunno che si avvicina è ora di riprendere il mio blocco notes, anche se quest’anno la pratica dello scrivere (a mano, sono una di quelle che ha qualche problema con il PC) non mi attrae come sempre.
Sarà per l’estate trascorsa tra gravi problemi, di cui accuso ancora il colpo. D’altra pare l’occasione è speciale: il primo lungometraggio nel ruolo di regista di Andrea Molaioli. E anche qui si affaccia il personale; quando vivevo a Roma sono stata in grande amicizia con la famiglia di Andrea e lui, come suol dirsi, l’ho tenuto in grembo, anche perché allora era magro come un chiodo. Poi le vite di ognuno hanno preso strade diverse e ci si è persi di vista.
Oltre a questa motivazione affettiva, a spingermi subito in sala è stato anche il fatto che di lui si era già vista la mano nella collaborazione con alcuni dei nostri migliori autori: Moretti, Calopresti, Michetti.

Altra garanzia di riuscita mi è parsa la sceneggiatura di Petraglia e la presenza di un cast di tutto rispetto, primo fra tutti Toni Servillo che, come interprete, batte strade non banali e affronta con grande versatilità e una ricca gamma di sfumature ruoli difficili.
Accanto a lui, Anna Bonaiuto, Fabrizio Gifuni, Varia Golino, sono tutti impegnati a comporre un piccolo affresco di società che è certo la cosa più riuscita nonché l’obiettivo del film. Guardando alla letteratura e al cinema, Molaioli disegna con delicata passione un microcosmo nel quale importa l’indagine sulla coscienze più che l’identificazione di un colpevole.
I personaggi infatti nella loro normalità sono percorsi tutti da una vena sottile di follia o di dolore profondo, mentre
attorno una natura da cartolina trasmette brividi di cupezza nordica, nonostante il lucido verde, il sole sfavillante e i giardini delle villette ben curate. Ma questo nord del benessere non ha niente della sommarietà della fiction televisiva e non risparmiando nessuno parla più dei problemi della vita che di quelli della morte. A partire dal commissario che indaga sulla morte di una bella ragazza ritrovata sulla riva del lago.

Il senso del mistero di casa, che non ha bisogno di sirene, pistole, rocamboleschi inseguimenti ma rimanda ad antiche superstizioni, a indagini sui segreti più profondi di ciascuno, a esistenze percosse da eventi traumatici, sono tutti elementi che il regista sa tessere con mano sicura.
Così il risultato per compattezza e verità è tale da far pensare al Dürrenmatt de Il segreto o a tanti personaggi di Simenon. Non a Maigret o a Moltalbano perché Toni Servillo disegna un tipo di commissario che è tutto suo.
Il linguaggio scelto da Andrea Molaioli è classico, ma qualche elemento accenna a un desiderio di sperimentare con misura, che avrà certo uno sviluppo (vedi scena sulla riva del lago al momento del ritrovamento del cadavere o la corrispondenza tra l’immagine della ragazza viva nelle scene iniziali del film e la sua compostezza pittorica da morta).
La fotografia, che sfrutta al meglio il primo piano, e la musica non invadente, che insiste su poche note ripetute, sono anch’essi elementi di forza della narrazione.

Se dovessi indicare un limite, lo vedrei nello scioglimento, che non mi è sembrato ben risolto né del tutto convincente. Coerentemente con la impostazione del film, esso non è l’elemento centrale, ma il modo in cui il regista presenta questo snodo non è all’altezza del resto.
Della trama c’è poco da dire. Ispirato al romanzo norvegese di Karin Fossum, Il corpo di uno sconosciuto, è un film di genere noir ma non troppo e dimostra, venendo da una storia di fiordi, che le comunità umane hanno molto in comune a qualsiasi latitudine. Il delitto insolito per il piccolo paese del Friuli dove il regista trasferisce l’azione, svela come dietro l’apparente mediocrità del quotidiano serpeggi l’ambiguità, la paura, la crisi che può scoppiare da un momento all’altro nella famiglia del commissario come in qualsiasi altra del posto.
Toccare con sapienza, evitando sensazionalisti ed eccessi di colore certi aspetti di vita del nostro paese, farlo con i mezzi dell’arte, è un’impresa che sembra riuscita al nostro debuttante di lungo corso. Olga di Comite
VOTO:

 

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