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RECENSIONE FILM LEZIONE VENTUNO

LEZIONE VENTUNOCRITICA a cura di Olga di Comite: Il primo film del multiforme ingegno di Baricco rassomiglia all’autore: è un po’ presuntuoso, un po’ intellettualistico, un po’ lezioso, un po’ molto affascinante. Dopo Il pianista dell’oceano e Seta, tratti in modo più o meno felice dai suoi libri, in quest’opera tutta sua l’autore affida alle immagini il compito di parlare di musica con passione ma anche con leggerezza e competenza nonché una punta di acido pettegolume.

E lo fa con un linguaggio che alterna inquadrature di spazi aperti e innevati a primissimi piani frontali o laterali di donne e uomini imparruccati, in cui la macchina “stringe” sulle parole e sui volti. Lingua cinematografica un po’ datata come raffinatezza, ma ancora sottilmente suggestiva, dove a parlare non sono solo le parole ma le pieghe dei volti, il silenzio di una natura coperta di neve. C’è poi il fondersi e il mescolarsi di vari piani temporali e narrativi cosicché, se il tema principale è un’analisi impietosa ma sentita della Nona Sinfonia di Beethoven, accanto al musicista che non si vede se non di spalle una volta, ci sono almeno altri due protagonisti. Uno è collocato in un contesto attuale, l’altro in uno strano Ottocento che si veste dei costumi di Tano Liberatore. Nell’oggi si muove il prof. Killroy (Johm Hurt), docente universitario arguto e anticonformista che si dedica alla distruzione critica di opere famose, secondo lui sopravvalutate. In questo caso tocca alla Nona Sinfonia, a parer suo poco apprezzata - giustamente - nella serata d’esordio, perché opera di un autore ormai vecchio, isolato, separato nel suo gelido inverno personale dal dono della bellezza. In qualche modo nel corso del racconto si comprende che questo è anche il versante malinconico del professore, che nell’età avanzata si dedica a studiare la musica nera e vive in un bowling fatiscente popolato da figure a metà tra i barboni classici e i fumetti moderni. L’altro personaggio che interseca la vicenda è Hans Peters (Noah Taylor), un giovane violinista suonatore di violino, ritrovato morto per congelamento su un lago presso Vienna.

Egli è stato sepolto con il suo strumento perché non era possibile staccarglielo dalle mani; prima di morire però aveva fatto in tempo a godere di un magico momento di bellezza, simboleggiata da una donna angelicata. Accanto a questi personaggi Baricco colloca poi una serie di figurine tra il metafisico e il favolistico, metafore del concerto dei suoni della natura, che probabilmente corrispondono alle fantasie che animano la creazione. Poi, sempre sullo sfondo nevoso di abeti dolomitici, l’orchestra composta da musicanti impegnati a ridimensionare l’opera del Maestro si compone, si scompone, scompare.

Paradossalmente, a mio parere, il tentativo di porre l’accento sulla fragilità, l’opportunismo, la solitudine, la paura di Beethoven di vedersi sopravanzavo nella fama dal geniale ed orecchiabile Rossini, lo rendono più umano e vicino. In quanto alla Nona, essa può non essere tra le cose migliori del compositore, ma certo contiene brani memorabili con l’impronta della sua potenza tipica. Infine il ricco background, cui l’autore attinge facendo mostra e un po’ sfoggio delle sue conoscenze culturali, lo riconferma attento lettore delle immagini cinematografiche, teatrali e televisive (i Surrealisti, Bergman, Carmelo bene, Fellini, i giochi televisivi a premio, i caroselli). Olga di Comite
VOTO:

 

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