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RECENSIONE FILM IN THE VALLEY OF ELAH NELLA VALLE DI ELAH

NELLA VALLE DI ELAHCRITICA a cura di Olga di Comite: E’ uno di quei film scomodi tramite i quali l’America più avvertita e pacifica riflette su se stessa e soprattutto sui guasti delle guerre.

Perciò non è curioso che l’impresa abbia visto vicini un repubblicano dalla mente aperta e un democratico impegnato. Con l’appoggio e la determinazione di Clint Eastwood, il regista Paul Haggis, già Oscar per la regia di Crash è riuscito a farsi finanziare dalla Warner Bros, realizzando così il copione che aveva in mente.

Il racconto ha come tema la guerra in Iraq, ma l’argomento è affrontato indirettamente. Il teatro dove si combatte compare solo in alcuni video con scene che vedono impegnati militari americani in situazioni di ordinaria violenza, resa ancora più insopportabile dal fatto che ogni giorno a fare le spese del conflitto che si svolge in città sono tanti bambini, vecchi, donne.

L’azione si svolge invece in patria. Un padre, ex-combattente in Vietnam, saldamente ancorato ai valori della bandiera e della disciplina, ha notizia che il figlio, tornato dall’Iraq negli Usa, è scomparso. Da qui parte la sua ricerca, alla fine della quale scoprirà che il ragazzo, da persona normale qual era, come tanti giovani combattenti, è diventato una iena umana che arriva a fare dello spirito mentre uccide e tortura. Ulteriore conseguenza del disastro morale dilagante sarà proprio la morte del militare provocata per una banalità dai suoi più cari commilitoni, dopo una rissa all’uscita di un locale. Una morte che vede il cadavere fatto a pezzi e bruciato e che lascerà i genitori colpiti non solo negli affetti ma anche nella fiducia in quei valori di fondo cui avevano sempre creduto. Il padre, nell’impresa che lo porta a svolgere un’indagine a latere, mentre l’esercito tenta di insabbiare, sarà aiutato da una poliziotta coraggiosa ed energica, una single con un figlioletto maschio che può quindi ben capire via via il tormento dell’uomo e la sua ansia di conoscere il vero.

La verità, drammatica nei fatti, è profondamente difficile da accettare per lo scempio morale che presuppone. L’anziano genitore, rivedendo i video girati in Iraq, capisce anche da quale episodio ha avuto origine l’imbarbarimento così tragico del suo ragazzo e di tanti altri. Il giovane è stato costretto dagli ordini ricevuti ad ammazzare un bambino che si era parato davanti alla sua jeep. Su tale gesto, su altri consimili e su cosa essi provochino nella psiche di un uomo, non diciamo altro.

A pensarci bene, quello che un po’ stupisce nella sceneggiatura è che la presa di coscienza venga attribuita a un personaggio (il padre), che aveva aderito senza remore a quell’altra barbarie che fu la guerra in Vietnam, come se questa, solo perché più “raccontata”, fosse meno terribile. Tale scelta toglie infatti un po’ di credibilità alla vicenda, anche se il ruolo del genitore è ottimamente interpretato da Tommy Lee Jones. Brave nei ruoli femminili anche una dolente Susan Sarandon (la madre) e una sensibile ma decisa Charlize Theron (la poliziotta).

Il linguaggio è quello tradizionale del buon cinema americano: semplice la fotografia, rarefatti al necessario i dialoghi, inquadrature nette che rendono bene la squallida vita della provincia, caratterizzata da noia, spesso da volgaritænbsp; e ristrettezza di sentimenti, sui quali possono meglio germogliare i fiori micidiali del male. Olga di Comite
VOTO:

 
 

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