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RECENSIONE FILM PIANO, SOLO

PIANO, SOLOANNO: Italia 2007

GENERE: Drammatico

REGIA: Riccardo Milani

CAST: Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Michele Placido, Paola Cortellesi, Sandra Ceccarelli, Roberto De Francesco, Claudio Gioè.

DURATA: 104 '

TRAMA: La parabola professionale, gli amori, i turbamenti di Luca Flores (Kim Rossi Stuart), un giovane uomo e un geniale musicista italiano che non riesce a venire a patti con i fantasmi del passato, fino alla tragica esplosione della follia.
Una vita, la sua, narrata attraverso la grazia del talento e la dannazione della malattia, dai momenti più solari a quelli più cupi. Per dire che ciò che alla fine sopravvive di una vita speciale, così come delle vite ordinarie di noi tutti, è ciò che siamo capaci di lasciare agli altri.
Nel caso di Luca Flores, alcuni pezzi straordinari, delle mani prodigiose, un sorriso inerme.

CRITICA a cura di Olga di Comite: Tormento ed estasi della creazione, vita vera e suggestioni psicoanalitiche, rapporti familiari e sentimentali difficili da gestire: questi i temi del film di Riccardo Milani. Traendo ispirazione dal romanzo Il disco del mondo, di Valter Veltroni (prima che abbandonasse il progetto missionario africano per diventare il Lorenzo il Magnifico della nostra repubblica), il lungometraggio racconta la vicende biografiche di Luca Flores, un pianista divenuto famoso intorno agli anni ’60, a partire dall’infanzia in Mozambico fino al suicidio avvenuto a Firenze.

A lui presta una faccia intensa e bella Kim Rossi Stuart, ormai specializzato in questi ruoli malinconici, quando non al confine con la follia. Insieme a Michele Placido, che disegna con pochi cenni, con lo sguardo e l’andatura un credibilepadre atterrato dal dolore, Rossi Stuart è senz’altro il più efficace, anche se la sua gamma espressiva sembra essersi raggelata, più che ampliata e sfumata.
Freddini gli altri interpreti e soprattutto la Trinca che, mancando totalmente di convinzione nella parte, si ferma ad una interpretazione quasi accademica.

La narrazione inizia dalle spiagge bianche e dal mare verde-blù del Mozambico, dove Luca gioca da piccolo con i fratelli e la madre. Subito si coglie il grande amore di tipo proustiano che il piccolo ha sviluppato per la donna, che è anche la sua maestra di piano e su cui egli riversa l’affetto contraddittorio per un padre spesso assente per lavoro. Ma un giorno qualsiasi la madre muore in un incidente d’auto. Luca è con lei in auto insieme ad una delle sorelle e la visione della macchina capovolta sarænbsp; di quelle che si inchiodano nel ricordo, forse anche per un malinteso senso di colpa del bambino. Passano gli anni e, diventato un giovane pianista, si diploma a pieni voti al conservatorio di Firenze. Poi la sua musica da classici vertiginosi, come Rachmaninoff (è suo il pezzo che dænbsp; il titolo al film) vira verso il jazz con esiti altrettanto apprezzati dal pubblico e da grandi di quel periodo come Chet Backer.

Anche la sua vita sentimentale sembra aver imboccato la via della realizzazione, quando si fanno sentire i primi segni di una ossessione psicotica che lo porterà a sentire voci, a perdersi e a perdere tutto ciò che sembrava aver conquistato. Finché non decide di troncare la propria sofferenza e quella di chi gli sta vicino, suicidandosi. Prima di concludere la sua discesa agli inferi,
ritornerà però in Mozambico, ultima illusione di pacificazione col passato e con i suoi incubi.
Come si vede, gli elementi melò non mancano nella storia e il film oscilla tra tanta bella musica e tanti tentativi di rappresentare degnamente questo melodramma non teatrale ma autentico. Non riesce però a farlo e, se non ci fosse il rifugio della musica da ascoltare, la narrazione tenderebbe al tedio triste, rasentando qualche banalità psicoanalitica, nonostante la sceneggiatura di provetti e sperimentati autori
. Olga di Comite
VOTO:

 

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