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RECENSIONE FILM PONTORMO - UN AMORE ERETICO

PONTORMOANNO: Italia 2004

GENERE: Storico / Drammatico

REGIA: Giovanni Fago

CAST: Joe Mantegna, Galatea Ranzi, Sandro Lombardi, Toni Bertorelli, Laurent Terzieff, Massimo Wertmuller, Andy Luotto, Alberto Bognanni, Giacinto Palmarini, Vernon Dobtcheff, Lea Karen Gramsrdoff.

DURATA: 102 '

TRAMA: Nella Firenze dei Medici, Jacopo Carrucci detto Pontormo (Joe Mantegna), uomo fantastico e solitario, da undici anni è impegnato alla realizzazione di un affresco per il Coro di San Lorenzo, commissionatogli dal Granduca Cosimo I (Alberto Bognanni). Il lavoro, realizzato anche grazie all'aiuto del Bronzino (Massimo Wertmuller), di Battista Naldini (Giacinto Palmarini) e di Anselmo (Sandro Lombardi), viene registrato in un diario insieme alle spese di realizzazione, alle cene con Bronzino e ad attente osservazioni su ciò che mangia e sulla propria salute. Il Granduca Cosimo I alle insistenti richieste di vedere gli affreschi si vede opporre continui rifiuti: Pontormo non permette a nessuno di vedere come procede l'opera fino a compimento. Intanto l'incontro all'arazzeria medicea con Anna (Galatea Ranzi), a cui è stata mutilata la lingua in tempo di guerra, ispirerà Pontormo per la realizzazione di Eva; il volto sofferente della donna somiglia stranamente alla figura femminile che ha sempre dipinto. L'Inquisitore (Laurent Terzieff) convoca Pontormo per poter vedere gli affreschi in quanto sembrano non corrispondere ai principi della vera fede, ma ancora una volta il pittore si rifiuta di mostrarli...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Nel 1494 nasce nel borgo di Pontorme Jacopo Carrucci che, venuto a Firenze, frequenta le botteghe di Leonardo, di Piero di Cosimo e Andrea del Sarto. A noi è noto come Pontormo, uomo e artista interessantissimo, vissuto in un periodo alterno ed inquieto che mostra molte assonanze con il presente. L'altalena di situazioni storiche e ordinamenti cha caratterizzò la capitale toscana dopo la morte del Magnifico (1492) vede la breve meteora della repubblica savonaroliana e una prima cacciata dei Medici, la calata di Carlo VIII, il ritorno di Giuliano in città, poi il tragico "Sacco di Roma" (1527) ad opera dei Lanzichenecchi, una nuova repubblica che soccombe subito agli imperiali e infine il ritorno di Alessandro de' Medici. Tra rivendicazioni populiste, congiure, reazioni oligarchiche, si consolida un accentramento di potere che lentamente sboccherà nello stato moderno. Intanto anche la Chiesa di Roma è corrosa dai nuovi fermenti religiosi della Riforma, il paese invaso dagli stranieri. Finito il primato economico della penisola e dei suoi Comuni, non rimangono più illusioni di quella stabilità equilibrata che era stata l'aspirazione del Rinascimento. In questo clima opera Pontormo, interprete sensibile e angosciato di questo periodo di trapasso, insieme ad altri artisti (Rosso Fiorentino, Bronzino), che danno vita al Manierismo, un gusto e uno stile aldilà delle intuibili accezioni negative del termine. Del resto già in Michelangelo alla staticità delle formule rinascimentali si era affiancato il bisogno di esprimere i tumulti e le eccitazioni dell'anima. Tutto questo non per fare la lezioncina di storia dell'arte (che ci vorrebbe ben altro) ma solo per comprendere come non fosse facile affrontare tale personaggio in un film. Ci ha provato il regista Giovanni Fago con l'opera uscita in questi giorni. Il periodo preso a soggetto è quello degli anni della tarda maturità, quando Jacopo Carrucci, su commissione del duca Cosimo dei Medici, è impegnato negli affreschi del coro di San Lorenzo, che non porterà a termine. Il suo Giudizio Universale, concluso dal Bronzino, amico ed allievo, verrà distrutto nel 1738 su ordine dell'ultimo esponente dei Medici. A film finito, si può dire che delle cose importanti c'è tutto: la visione a volte allucinata del Pontormo, l'esasperante lentezza nel lavoro, la concezione religiosa combattuta tra ortodossia ed echi savonaroliani, il tratto ispido e solitario del personaggio, il culto per la libertà dell'artista. Eppure l'opera, così ambiziosa e minuziosa negli ingredienti, risulta scarsamente emozionante, intrinsecamente ripetitiva, così come poco espressiva appare l'interpretazione di Joe Mantegna. La narrazione poi è lenta e monotona: primi piani alternati, dialoghi arruffati e incolori, luoghi rinascimentali poco valorizzati, ricostruzione d'epoca attenta ma troppo povera. La musica di Pino Donaggio infine, con toni pseudosacri di maniera, risulta invadente. In sintesi la storia racconta l'elaborazione difficile dell'opera tarda del maestro e mette in risalto l'episodio di una fanciulla (Galatea Ranzi) accusata come strega dall'Inquisizione e difesa dalla testimonianza del Pontormo, sia per essere in pace con la propria coscienza, sia perché se ne è invaghito in silenzio. Qua e là qualche scena di genere sulla vita del tempo, alcune pennellate sulla situazione storica per spiegare l'opportunismo di sempre della politica, con un occhio al peso crescente dell'Inquisizione. Rimangono comunque impresso il colorismo ricercato e personalissimo del pittore, percorso da colori acidi, esplosivi, quasi tattili, le sue composizioni in equilibri difficili e strani, il naturalismo che in alcune opere denuncia la forte tensione interiore dell'uomo e le sue angosciose domande. Queste ultime, per la problematicità, a volte ambigua, verso ciò che l'ha preceduto e per i dubbi sui tempi che cambiano, sono molto simili alle nostre. Olga di Comite
VOTO:

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