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RECENSIONE FILM UNA VITA TRANQUILLA

UNA VITA TRANQUILLACRITICA a cura di Olga di Comite: Se si pensa al film d’esordio del regista (Lezioni di cioccolato), una commedia sentimentale e garbatamente di moda, quasi non si crede che l’autore sia la stessa persona.

Dalle riprese iniziali, già dal punto di vista esclusivamente tecnico è un altro mondo: macchina che si muove col ritmo giusto, accento sui primi piani dei volti, oggetti frugati nella loro materialità quotidiana, tutto in contrasto con quello che sembra prepararsi ad esplodere.

Costante è infatti la capacità di Cupellini, aiutato dalla splendida fotografia di Gergely Pohárnok, di suggerire allo spettatore che qualcosa di irreversibile sta per accadere, mantenendo fluidità e insieme costrizione narrativa sempre sull’orlo di ciò che deve verificarsi. Così che il racconto acquista la forma e l’andamento tipico del buon cinema medio americano, mutuandone anche alcuni aspetti del linguaggio. Di italianissimo c’è invece la denuncia di come la camorra stia lucrando sul riciclaggio dei rifiuti, nonché il profilo del personaggio principale, ex-malavitoso che scomparendo dal suo paese ha fatto credere a tutti, figlio compreso, di essere morto.

La sua scomparsa ha il duplice scopo di salvare la vita dei suoi (s’intravede qualche sgarro che avrebbe provocato la vendetta dei boss) e di regalare a se stesso l’illusione di una vita tranquilla in Germania con una nuova moglie e un altro figlio. Ma come molti libri recenti e molti film insegnano, non si può annullare un passato così ingombrante. Come gli zombi, esso ritorna. S’infrange così la tranquillità realizzata, pur con qualche incrinatura, perché un brutto giorno ricompare il figlio maggiore, facente parte a sua volta del giro camorristico. Equilibrare la nuova situazione con questa presenza problematica, ridare al figlio abbandonato una parvenza di normalità, è un sogno destinato a non realizzarsi.

E nello svolgersi dei fatti che sembrano avvitarsi verso una tragica conclusione sempre posposta, la mano del regista crea un’opera ricca sfumature e particolari realistici e simbolici insieme. Non manca però qualche incongruenza nella sceneggiatura (soprattutto nel finale), finale che sarebbe stato di maggiore effetto senza le ultimissime inquadrature che ne costituiscono una inutile coda.

L’interpretazione degli attori: i due maschi italici manovalanza del crimine, la moglie tedesca e Toni Servillo sono indubbiamente all’altezza. Quest’ultimo si serve ottimamente anche delle pieghe del viso e possiede una capacità di autoimbruttimento fisico e morale che realizza con poco trucco e molta perizia mimica.

Qualche punta di gigioneria non manca, ma non offusca il risultato complessivo di un racconto condotto con elegante padronanza da Cupellini. Anche se ispirato da Sorrentino e dal Molaioli de La Donna del lago, il giovane autore può definirsi già un esperto. Il ritmo delle svolte narrative, la testimonianza sui problemi del nostro tempo, la creazione di personaggi come questo chef italiano che dispiega nel suo lavoro la fantasia mediterranea in terra straniera, fanno pensare che di questo regista riparleremo. Il suo percorso è appena iniziato. Olga di Comite
VOTO:

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