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RECENSIONE FILM VALZER CON BASHIR WALTZ WITH BASHIR

VALZER CON BASHIRCRITICA a cura di Olga di Comite: Questa è una recensione diversa e difficile, perché la visione del film, specialmente in questi giorni di Gaza e di morti che coinvolgono persone inermi, è un pugno allo stomaco, ma anche un terribile strumento di ulteriore riflessione sulla guerra: osa perciò “parlare” di pace. Lo fa per voce di un regista israeliano che ha partecipato giovanissimo come militare alla pagina nera della guerra libanese (1982) e a quella nerissima della strage di Sabra e Chatila. In quei campi-profughi palestinesi vennero sistematicamente uccisi (le divergenze sui numeri dicono poco) tra i 700 e i 3000 civili, soprattutto bambini, donne ed anziani con l’assenso israeliano delle truppe di Ariel Sharon schierate tutt’intorno.

Non si pensi però al film come ad un’opera autoassolutoria. Tutt’altro. Ari Folman è stato in realtà oppresso per tanti anni da quei giorni lontani e dall’orrore vissuto fino al punto da rimuovere tutto per sopravvivere. Nessuna memoria o ricordo dei fatti, solo incubi ricorrenti simili alla sequenza che apre il racconto. Nel sogno, non suo ma di un amico, cani che latrano ferocemente battono le strade di una città deserta e si fermano sotto la finestra di un giovane che li fissa angosciato. E già dall’inizio si comprende che il film sarà duro, sentito e convincente, voluto com’è per un duplice scopo generale ed individuale: affermare il rifiuto di qualsiasi guerra, riflettere sulla devastazione che essa comporta nelle persone che vi partecipano.

I conflitti infatti sono la rovina di chi muore ma anche di chi resta e magari vince, esclusi naturalmente i responsabili veri, capi e governanti. La vittoria s’illumina di luci livide per quei giovani soldati israeliani mandati a combattere ancora imberbi, senza sapere né dove né perché devono sparare e uccidere, distrutti dalla paura, lontani dagli affetti, complici impotenti di massacri senza fine e senza scopo. Se dopo questa esperienza si vogliono in qualche modo accettare i propri sensi di colpa, è necessaria un’operazione terapeutica per mezzo della quale la memoria riesca a varcare il limite che essa stessa si è data e a guardare il buco nero e profondo che la rimozione rifiuta di affrontare. L’opera di Folman è quindi viaggio soggettivo e autobiografico ma nel contempo un documento. E’ poi anche poesia, dolore, capacità di espressione tramite il disegno animato. Si tratta di una verità espressa con mezzi filmici insoliti e mescolati insieme, diversa ma non per questo meno travolgente delle ultime immagini reali dove segno e corpi in carne ed ossa martoriati si ammucchiano in quello che rimane delle misere case di Sabra e Chatila.

E’ proprio il linguaggio l’altro punto di forza di questa opera perché esso assicura una sintesi originalissima tra contenuto e forma tramite un’animazione di grande vivezza, dal segno duro ma anche indeterminato (l’illustratore è David Polonskij), una forma coloristica e una colonna sonora cangiante o plumbea a seconda delle situazioni. Forse alla fine della sua ricostruzione, basata anche su una serie di interviste e testimonianze (importante per il significato è quella del noto corrispondente di guerra israeliano Ron Ben Yishai) Folman avrà imparato a convivere con i suoi ricordi. In quanto a me, vorrei illudermi che la sua coinvolgente storia convinca tanti giovani ignari o inconsapevoli della storia di ieri e di oggi a non voler convivere con la guerra, a impedire che guerrafondai li governino, a non accettare mai di farsi aguzzini di altri esseri viventi. Lo vorrei con tutte le mie forze. Olga di Comite
VOTO:

 

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