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RECENSIONE FILM AGORA

AGORACRITICA a cura di Olga di Comite: Brutto film e brutta critica (intendo quella dei professionisti) e spiego perché. L’opera è molto lontana da ciò che avrebbe potuto essere, data la forza del personaggio nonché la complessità del periodo storico e dei luoghi che gli fecero da cornice.

Amenabar invece, tradendo le capacità di genere (The Others) e la sensibilità psicologica e di linguaggio (Mare dentro), dimostrata nei suoi lavori precedenti, ha tentato un’operazione di divulgazione commerciale, improntata ai vecchi kolossal tipo "Quo vadis", "Cleopatra" ecc. Il risultato è un prodotto che suona finto, un polpettone storico tagliato con l’accetta per quanto riguarda contenuto e personaggi. Ci sono i buoni e i cattivi o cattivissimi: questa volta i cristiani e i loro adepti con andata in solluchero dei laici odierni. C’è il bene e il male, la scienza e l‘ignoranza, l’eroina senza molte sfumature e lo schiavo sensuale e fanatico da divano psicanalitico. La ricostruzione del luogo, la mitica Alessandria con la sua biblioteca, è da cartone, nell’insieme un po’ kitsch; i buoni hanno bei costumi ben stirati, gli assassini isterici della milizia cristiana, i Parabolani, costumi tipo punk, tutti neri grigi e metalli: mancava la band heavy metal ad accompagnamento stragi. Non parliamo poi degli inserti in digitale: “originalissime” le riprese dall’alto per far vedere i vari gruppi simili a formiche impazzite, mentre i ragionamenti filosofici di Ipazia, che lambiscono impropriamente le teorie di Galileo Galilei, si chiudono o sono introdotti da vedute del nostro pianeta tipo sigla del Tg2. Anche gli adattamenti cinematografici alla realtà dei fatti storici, necessari nelle trasposizioni filmate, si collocano nel contesto fino ad ora descritto. Quando è troppo è troppo.

Non mi è neanche piaciuto l’atteggiamento di certa critica, in genere non timida nei giudizi o nelle stroncature: leggo le recensioni di Liberazione e del Manifesto e rimango di stucco. Due articoli anodini, preoccupati di dire poco, senza dir male perché capita di rado di vedere rappresentate al cinema le nequizie della Chiesa cattolica, l'esistenza di un suo braccio “talebano”, la crudeltà del patriarca Cirillo, ora santo e protettore degli insegnanti! Come se queste cose non le sapessimo. Ma il punto non è questo. L’opera di Amenabar non è riuscita per il linguaggio scelto e per la mancanza di efficacia nel reinterpretare un’esperienza di scienza al femminile, che si svolse in un ambiente più che mai maschile, ma anche ricchissimo di fermenti e non solo di carneficine. Dispiace perciò che due giornali intelligenti rinuncino alla funzione critica per conformismo ideologico.

Grossissimi cambiamenti si svolgevano sotto gli occhi di Ipazia: cadeva un impero, passando attraverso la lacerante divisione in due dei territori extraromani, c’erano crogioli di culture come Alessandria, dove si sperimentava anche la possibilità di far convivere varie fedi, pagane e non, dove era anche in atto il tentativo di dare basi teoriche alla nuova religione che si andava affermando.

Insomma un passaggio epocale accanto al problema di sempre delle donne, il non vedersi riconosciute come persone con i loro valori e disvalori. In questo contesto Ipazia è vista come una preilluminista che studia le stelle e insegna a pensare, graniticamente laica fino alla morte atroce, figura un po’ fredda, priva di quelle tensioni che certo dovettero percorrerla vivendo tempi ed esperienze così difficili. Infine una parola sulla bellezza interiore e sullo sforzo interpretativo di Rachel Weisz. Per i contenuti dell’opera rimanderei invece ad un buon saggio storico. Olga di Comite
VOTO:

 

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