ANNO:
U.S.A. 2004
GENERE:
Commedia
REGIA: Jim
Jarmusch
CAST:
Roberto Benigni, Steven
Wright, Joie Lee, Cinqué Lee,
Steve Buscemi, Iggy Pop, Tom
Waits, Joe Rigano, Vinny
Vella, Vinny Vella Jr., Renée French, E.J.
Rodriguez, Alex Descas, Isaach
De Bankolé,
Cate Blanchett, Meg White, Jack
White, Alfred Molina,
Steve Coogan, Gza, Rza, Bill
Murray, Bill Rice, Taylor
Mead.
DURATA:
96 '
TRAMA:
Serie di cortometraggi camuffati
da lungometraggio (o forse viceversa). Ogni sequenza
coinvolge vari personaggi che, seduti a un tavolo,
sorseggiano caffè, fumano sigarette e discutono
argomenti che spaziano dai ghiaccioli al
caffè a
Gianni e Pinotto, dai complotti sulla morte
di Elvis all'esatta preparazione del tè inglese, dalle
invenzioni di Nikola Tesla alla rock
band immaginaria SQÜRL, dalla Parigi
degli Anni '20 all'uso della
nicotina come insetticida... Il cast è composto
da un gruppo eterogeneo di straordinari attori e
musicisti che interpretano una altrettanto eterogenea
galleria di personaggi stravaganti, con sequenze
magnificamente riprese in bianco (CIGARETTES) e nero
(COFFEE) da Frederick Elmes, Robby
Muller, Ellen
Kuras e Tom Di Cillo...
CRITICA a
cura di Olga
di Comite:
Guardando
l'ultimo film di Jim Jarmusch, Coffee
and Cigarettes, mi è venuto
in mente Matteo da Gualdo e la sua
mostra, visitata qualche giorno fa.
Non sembri peregrino l'accostamento,
perché una sua ragion d'essere
ce l'ha. Diciamo che sono entrambe
personalità "eccentriche":
così è stata definita
la posizione di Matteo da Gualdo rispetto
al Rinascimento più noto e famoso
con culla a Firenze, così possiamo
definire il cinema di Jarmusch rispetto
alle grandi produzioni delle major,
agli attori pagati fior di quattrini,
agli effetti speciali, alle masse di
comparse impegnate nei nuovi colossal.
Si potrebbe anche parlare di due artisti
marginali, in quanto bordeggiano liberamente
a fianco di quanto è "centrale".
Detto questo per chiarire l'accostamento,
torniamo al film già politicamente
scorretto per l'accoppiata che propone:
volute di fumo e caffè a gogò.
Ma tale non solo per questo. Jarmusch usa il bianco e nero, perlopiù a
macchina fissa, attori e cantanti,
perlopiù amici, ci mostra una
serie di corti di epoche diverse uniti
in un lungometraggio, non perché il
tutto costituisca una storia, ma perché l'organicità è data
dallo stile e dall'afonia comunicativa
a livello profondo, che domina tutti
i protagonisti. Questi dialoghi a due
(massimo a tre) tra caffè e
sigarette, immancabilmente in presenza
di tavolini con qualche elemento a
scacchi (tovaglia o superficie non
importa), si collocano tra Jonesco e Beckett con qualche puntata dalle
parti di Bukowski e dei minimalisti
americani. Il progetto partito dall'86,
col corto che ha protagonista Benigni,
ha avuto una lunga gestazione fino
ad arrivare a undici mini-film. Il
fatto che l'autore ami pause di silenzio
tra una produzione e l'altra spiega
anche il fatto che i suoi prodotti
sono pochi e sempre girati al segno
dell'indipendenza, del basso costo
e del menefreghismo del mercato. Tra
tutti i pezzi che lo compongono, citerei
come migliori gli ultimi tre, ma ogni
spettatore, se entra nello spirito
dell'opera, sceglierà i suoi.
Detto questo, sembrerebbe che il film
mi sia piaciuto e invece... non è così.
Infatti, a mio parere, Jarmusch è caduto
in una terribile trappola, quella della
noia. Ciò che è un risultato
sul piano stilistico (alludo alla compattezza),
sul piano della fruizione diventa terribilmente
monotono. Basterebbero infatti quattro
corti per capire e forse gustare il
messaggio e l'atmosfera, lo stile spesso
surreale e rarefatto dei dialoghi,
la bravura di alcuni interpreti. Citerei
tra questi Cate Blanchett per il suo
doppio ruolo in "Cugine";
Alfred Molina e Steve
Coogan in "Cugini
(?)". Penso infine che
questa sia un'opera per pochi cultori
di un
autore geniale e a margine; essi, pur
di gustarlo non indietreggeranno nemmeno
davanti alla pesantezza cui mi riferivo.
Un'ultima considerazione: ho letto
in critiche di recensionisti illustri
che Coffee and Cigarettes sarebbe
qualcosa di divertente e di esilarante.
Delle due l'una: o non mi sono mai
accorta che il significato di questi
termini è profondamente mutato
o i suddetti critici soffrono di qualche
forma di masochismo che impedisce loro
una liberante risata. Il solo sorriso
me l'ha strappato la battuta nel primo
brano del demenziale Benigni, felice
di andare dal dentista al posto dell'amico... Olga
di Comite
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