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DONNIE DARKO

DONNIE DARKOANNO: U.S.A. 2001

GENERE: Drammatico

REGIA: Richard Kelly

CAST: Jake Gyllenhaal, Drew Barrymore, Maggie Gyllenhal, Patrick Swayze, Holmes Osborne, Daveigh Chase, Mary McDonnell, James Duval, Mark Hoffman, Katharine Ross, Kristina Malota, Marina Malota.

DURATA: 133 '

TRAMA: Un adolescente americano, Donnie Darko (Jake Gyllenhaal), durante una sortita notturna in preda ad un attacco di sonnambulismo si imbatte in Frank, un coniglio gigante che gli predice la fine del mondo. Frank non è altro che una visione di Donnie, tuttavia quando Donnie torna a casa scopre che il coniglio gigante gli ha salvato la vita: la sua camera è stata devastata da un motore di aereo caduto dal cielo. Mentre Donnie cerca di indagare sul come sia scampato alla morte viene plagiato da Frank e commette svariate follie, nel frattempo strani fenomeni minacciano la vita delle persone a lui care...

CRITICA a cura di Giovanni Angioni: Senza dubbio un film carino, giustamente ripescato da quel buco temporale (quando si dice l'ironia...) in cui era finito dopo la prima bocciatura statunitense. Ma da qui a farne un film culto, quasi un simbolo generazionale, beh, scusatemi, il passo mi sembra davvero troppo grande. La trama è semplice e complessa allo stesso tempo: si sviluppa su diversi livelli, ha i suoi dovuti accenni politici di protesta e, per la sua voluta oscurità, riesce a lasciare libero spazio a diverse interpretazioni. A voler elogiare a tutti i costi questo primo lungometraggio del giovanissimo Richard Kelly si potrebbe dire che solo un genio sarebbe in grado di estrarre una serie così vasta di significati da una storia tanto banale da divenire quasi surreale. A volerlo elogiare, dicevo. Ma, a voler procedere nel senso contrario, ad esercitare maggiormente la nostra criticità innata, si potrebbero mettere in luce i numerosi buchi della trama, la regia che non è mai veramente impeccabile e nella quale si nota ampiamente l'inesperienza del non ancora trentenne americano, così come ci si scaglierebbe contro un tipo di cinematografia che, per riuscire, mira costantemente allo smarrimento dello spettatore. Riprendere le teorie spazio temporali di Hawkins, riproporle condendole con una buona dose di suspence e farle passare come chiave per una lettura rivoluzionaria dell'esistenza tutta ha soltanto molto di nostalgico e di già sentito.
L'idea, poi, di sfruttare Graham Greene per dimostrare che << Per rifare la civiltà bisogna distruggerla >> e che << La distruzione è il principale processo creativo >> appare l'estremo tentativo di chi, probabilmente quasi accoltellato dalle sofferenze che pesano sulle spalle di una generazione delusa, cerca una valvola di sfogo nel sorriso appena abbozzato degli spettatori.
Insomma, il fatto che un adolescente disturbato abbia le chiavi per poter interpretare il mondo, per capire le sottese intenzioni delle azioni umane e, per giunta, per poter punire le colpe e cambiare i destini, se non ha il sapore del dejà vu, ha quello ben più acre della lezioncina sul politicamente corretto e su quanto siano perfide, chiuse ed inutili le persone superficiali ed ignoranti.
Nulla da dire sull'originalità dell'intreccio: un ragazzo morto travestito da coniglio che guida il suo assassino a compiere il suo assassinio non s'era ancora vista, ma denunciare sul video la mentalità arretrata e perbenista di una cittadina americana tipo, un liceo che espelle l'insegnante del corso di poesia perché pericolosa fomentatrice di pensieri anticonvenzionali, che costringe al silenzio un professore di scienze sulle proprie idee ovviamente antisistema e che, invece, fa regnare un'ignorante donnetta tutta educazione fisica e balletti di gruppo femminili ed un santone-pedofil-profittatore è davvero troppo perché lo spettatore non finisca per lamentarsi e sentirsi, quantomeno, intellettualmente sottovalutato.
Per quanto lo si provi ad inserire nel contesto della sua reale uscita, quello del 2001, bandiere statunitensi a parte, il film non fa che sembrare in ritardo.
In ritardo il messaggio, in ritardo la tecnica, in ritardo le denunce così come in ritardo è stato il successo in parte (im)meritato.
Se il cinema avesse la funzione di far perdere tempo, se i biglietti dei grandi circuiti non costassero così tanto o se fossimo negli Anni '80, probabilmente staremmo a discutere di una grande opera in linea con il suo tempo. Ma giacchè nessuna di queste tre condizioni è valida... Giovanni Angioni
VOTO:

CRITICA a cura di Chiara F.: Un enorme coniglio d'oltretomba, visibilmente posticcio, induce Donald Darko ad assentarsi incoscientemente di casa nel sonno. Nella sua voce inabissata si condensano i primi tracciati addensanti parallelismi tra vari tipi di realtà, la stessa realtà spezzettata e relativa che attraversa l'imprendibile mente di Nonna Morte. Il coniglio parla al ragazzo della fine del mondo vicina, e Donnie non segue quei tracciati, ma si diverte quasi ad addentrarsi in essi e a lasciarsene definire, in una serie di atti che scuotono la realtà edulcorata e asfissiante del paese di provincia. L'iconografia dark e l'esplosività fantascientifica convergono in questa complessa figura di adolescente schizofrenico, coagulo di citazioni cine-fumettistiche pregnanti, comicità malinconica e disarmante, impulsi orrorifici che squarciano la logicità e si connettono intimamente allo spettatore ebbro e "divertito". In realtà è necessario dissezionare, rapinare da ogni convenzione l'illusorio e significante divertimento, per poter cogliere la forza distruttrice della malattia: malattia come unica arma contro la disgustante parata stile "Pleasantville" che estremizza e aguzza il ridicolo dell'america fine Anni '80: un'America-occidente decadente, isterizzante nella maschera gracidante della professoressa di Donnie; l'America pedofila e lobotomizzata dell'imbolsito professore Jim Cunningham. Sostegno di quella furia che trapassa l'apparentemente sommesso personaggio cui Jake Gyllenhall dona i toni bluastri e azzurri e la silente, inquietante espressione è quella teoria dei fluidi che sospingono il corpo, bizzarra trovata visiva che modula digitalmente lo schermo, oppure l'iconica Drew Barrymore, docente che cita Graham Greene e indaga nelle ansie decostruttive e svisceranti dei suoi allievi. Distruggere è un nuovo modo per creare, e non è un caso che al balletto sulle note di "Notorius" dei Duran Duran si sovrapponga emotivamente la pericolante struttura di un classico dark-wave come "Love will tear us apart": l'amore ci dividerà, è un nuovo '77 deflagrante e intinto di fantastico, di Disney, di E.T. e di tinte profonde. La provincia dissacrata da una nuova dialettica, che si perde nel tunnel spazio tempo e rigetta, sottolineandolo, il dualismo restrittivo dei falsi insegnanti che riducono la crescita alla sterile opposizione di odio-amore. Donnie Darko si ripara quasi dalla sua stessa politicità dell'assurdo con un finale di incombenze e predestinazione, con l'unica fine del mondo prevedibile. Finale facile? Forse, ma assolutamente negativo, annullante e paurosamente dissimulato dalla calma apparente. Non è accaduto nulla, la provincia si riappiattisce dietro i suoi colori accesi senza vibrare. Un enorme cartone animato puntuto e abbombato piomba nella stanza del predestinato, e ne riduce la fuga ad un sogno vagabondante. Chiara F.
VOTO:

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