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RECENSIONE FILM IL CACCIATORE DI AQUILONI THE KITE RUNNER

IL CACCIATORE DI AQUILONICRITICA a cura di Olga di Comite: Come dichiara candidamente Khaled Hosseini, mai avrebbe pensato al successo da best-seller (oltre sei milioni di copie vendute) del suo libro Il cacciatore di aquiloni, poiché sua intenzione era parlare soltanto al mondo del suo paese d’origine, l’Afghanistan. Né l’autore, per mancanza d’esperienza, ha voluto partecipare alla sceneggiatura del film che ne ha tratto Marc Forster insieme a una troupe di varie nazionalità.

L’impresa non era facile, data la densità dell’opera scritta e infatti il risultato non sempre centra il bersaglio.
Però siccome i contenuti sono di quelli emotivamente forti, anche una fotocopia ridotta del romanzo riesce a tener sveglia l’attenzione del pubblico, pur con molte cadute nella seconda e ultima parte, dove la storia assomiglia a un brutto film d’azione. Sarà il fascino della prima parte, affidata a due piccoli bravi interpreti, sarà che abbiamo tutti bisogno di essere consolati dalla tolleranza, dal perdono, da uno spiraglio di positività, fatto sta che non si esce dalla sala rimpiangendo la spesa del biglietto.

Negli occhi restano le immagini di una natura di un’asprezza indicibile e nella mente la tenerezza per quel rapporto tra bambini che fino ad un certo punto riesce a ignorare la differenza di condizione economica e di etnia. Di tale disuguaglianza essi prenderanno coscienza dopo un episodio terribile ad opera di rozzi adolescenti che feriscono e macchiano con la loro violenza fisica e morale la vita del più debole socialmente ma più forte nel carattere.

Se questo rapporto s’inquadra poi nel tormentato Afghanistan anni ’70-‘80 dove ai Russi stanno subentrando i Talebani (non si sa chi è peggio!), costringendo alla fuga tanta gente e spesso i migliori uomini del paese, si capisce che impatto possono avere le vicende narrate nel libro. Si capisce anche perché Isabel Allende ha dichiarato a proposito del romanzo: “E’ talmente potente che per molto tempo tutto ciò che ho letto successivamente mi è sembrato insipido”.
Infatti quello che nella letteratura occidentale ci sembrerebbe forse una drammone, si connota in quel contesto, e per la bravura dell’autore, con una evidenza di realtà insopportabile.

La storia parte da New York, dove ormai vive Amir, divenuto adulto, marito e scrittore, per poi spostarsi a Kabul, dove un lungo flash-back segue passo passo le vicende dei due bambini, uniti da piccoli da un’amicizia che sembra non dover mai finire. L’uno (Amir) è un pastun, figlio di un ricco genitore, dal quale si sente, a torto, poco amato, dato che la sua nascita è costata la vita alla madre. L’altro è Hassen, di etnia azara e perciò servo e analfabeta. Ma il profondo legame fatto di reciproco completamento anche nelle gare degli aquiloni, si incrina e si spezza a causa di un terribile episodio. Hassan è vittima di una violenza che lo segnerà per sempre, Amir vi assiste non visto, senza il coraggio di intervenire. I sensi di colpa faranno il resto e i due si separeranno. Tanti anni dopo, Amir adulto tornerà in Afghanistan e avrà modo di riparare, dopo una inattesa rivelazione, al lontano atto di vigliaccheria e alle ingiustizie nei confronti del suo ex-compagno di giochi, riconciliandosi col passato.

Nel dar vita ai due amici, Khalid Abdalla (Amir) e Atossa Leoni (Hassan) se la cavano egregiamente grazie anche alla sensibilità e abilità di Marc Forster nel dirigerli. Olga di Comite
VOTO:

 

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