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RECENSIONE FILM IT’S A FREE WORLD... IN QUESTO MONDO LIBERO

IN QUESTO MONDO LIBEROANNO: Gran Bretagna 2007

GENERE: Drammatico

REGIA: Ken Loach

CAST: Kierston Wareing, Juliet Ellis, Leslaw Zurek, Faruk Pruti, Branko Tomovic, Serge Soric, Radoslaw Kaim, Frank Gilhooley, Raymond Mearns, Steve Lorrigan.

DURATA: 96 '

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TRAMA: Angie (Kierston Wareing) è una donna nel fiore degli anni, che non ha ricevuto un’istruzione di tipo tradizionale, ma che trabocca energia, spirito e ambizione. In passato ha avuto delle difficoltà, ma adesso intende rifarsi e dimostrare ciò che vale. Questo è il suo momento.
Insieme alla sua coinquilina Rose (Juliet Ellis), Angie decide di aprire un’agenzia per la selezione del personale, ma ben presto dovrà fare i conti con una realtà surreale, popolata dai boss di strada, dalle agenzie per l’impiego e dagli immigrati in cerca di lavoro.
In questo mondo libero... è una storia ambientata nell’odierna realtà anglosassone, caratterizzata dal "miracolo" del lavoro flessibile, dalla globalizzazione, dai doppi turni, e da tanti, tanti felici consumatori: noi.

CRITICA a cura di Olga di Comite: Che ovviamente libero non è affatto per tanti di noi; figurarsi poi se si tratta di immigrati sottoposti a vari livelli di sfruttamento fino ad arrivare a situazioni estreme di quasi schiavitù. L’altra faccia di questo problema è costituita dalla mancanza di sicurezza o perlomeno dalla sensazione che essa sia meno avvertita da molti cittadini dei paesi oggetto d’immigrazione, i quali spesso vivono a contatto con gruppi di violenti o fiancheggiatori di situazioni terroristiche.

Sono questi ultimi, anche se minoranza, a determinare diffusi atteggiamenti di paura e rifiuto. Ma a Ken Loach interessano come al solito i più deboli della società, anche se in questa ultima opera il taglio sembra maggiormente articolato e chiaroscurato del solito, a cominciare da Angie, la protagonista (Kierston Wareing), una bella e complessa figura femminile. La giovane vive molte contraddizioni: lavora come impiegata in un’agenzia che procura occupazione agli immigrati, ma viene licenziata, come già le è accaduto, perché si nega alle attenzioni sessuali del capo; così da sfruttata diventa sfruttatrice, perché decide di mettersi in società con l’amica Rosie (Jiuliet Ellis) per aprire una propria agenzia.

Come madre, farebbe di tutto ed è disposta anche all’illegalità per dare al figlio, che vive con i nonni, agi e sicurezza, ma nella realtà lo trascura, presa dal miraggio dell’arricchimento, mentre il bambino si chiude e si incattivisce. Come figlia, si scontra con la madre che la colpevolizza perché non ha mai concluso niente di buono, ed ha un dialogo “difficile” con il padre.

Questi è un vecchio operaio laburista, che non condivide i suoi metodi poco ortodossi, ma che le vuole molto bene. Come donna, è dura nell’esercitare questa nuova forma di caporalato, che esiste un po’ ovunque nell’occidente ricco e capitalista, ma s’intenerisce davanti alla ingenua e semplice etica di un giovane polacco, con il quale inizia una frettolosa ma non ininfluente relazione. Un personaggio insomma sfaccettato e vero, che da solo fa dimenticare alcune pecche del film del vecchio leone marxista.

Loach sa indubbiamente raccontare in modo asciutto e quasi documentaristico, ma a volte cede alla tentazione del pistolotto didattico o della soluzione moralistica, come accade anche qui verso la fine della narrazione (vedi rapimento del figlio di Angie, colloquio con i rapitori e successivo evolversi dei fatti). Alla fine ritroviamo la protagonista a Kiev, in Ucraina, dove si trova per arruolare gli immigrati più disponibili allo sfruttamento, quelli che pagano anticipatamente per una qualsiasi occupazione che poi non trovano.
Ed è su questo punto che il bisturi di Loach taglia più a fondo. E’ questo mercato di schiavi che consente ai governi occidentali di calmierare i prezzi perché (e lo sanno bene il nord-est d’Italia e gli impresari edili di tutto lo stivale) le tutele sindacali dei lavoratori clandestini semplicemente non esistono, mentre esiste la libertænbsp; di licenziare e assumere a costi più bassi nel mercato nero.

A questa situazione pensa la nostra Angie, quando in uno dei dialoghi significativi con l’anziano padre gli fa notare che il mondo è tutto cambiato e che, in una società globalizzata non sono più solo i padroni gli sfruttatori, ma una parte del globo che vive e si arricchisce sulla necessitænbsp; altrui di lavorare a qualsiasi condizione. Del resto nessuno può garantire oggi quella continuità nel lavoro che ha vissuto la nostra generazione a vario titolo, perché Angie a trent’anni di occupazioni ne ha cambiate tante “flessibilmente”. Non parliamo poi dell’aggravante di essere donna, quando si tratta di immettersi nel mercato.
Per finire, una riflessione: non si sa se augurarsi che l’anziano maestro ci regali la prossima volta un film tutto diverso dagli altri o se chiedergli di non smettere mai di schierarsi dalla parte di chi sta peggio. Ognuno risponderà a suo modo. Olga di Comite
VOTO:

 
 

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