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RECENSIONE FILM IO LORO E LARA

IO, LORO E LARACRITICA a cura di Olga di Comite: Il cinepanettone, no, neanche morta! Ma Carlo Verdone, sì, pur con una riserva mentale sintetizzabile nella domanda: avrà trovato finalmente una misura? Perché il problema del nostro attore sta nel fatto che invecchiando ha intrapreso la via del castigare ridendo mores. Cosa che aggiornata ad oggi vorrebbe dire: fa ridere ma anche riflettere. Su questo niente di strano perché, maturando, succede. Il fatto è che tale scelta l’ha portato nelle ultime opere e anche in questa a voler fare e dire “troppo”.

Così, anche se l’umanità dell’uomo si è indubbiamente arricchita diventando incline al dubbio esistenziale, oltre che alla risata, l’autore, attore, co-sceneggiatore (anche questo è troppo) non riesce a fermarsi al momento giusto. E si sa che qualsiasi arte si eserciti è molto importante saperlo fare, sennò si rischia di sovrabbondare. Queste opere costruite per addizione di personaggi, storie, diramazioni delle storie, predicozzi, risultano quindi prolisse, stanche nel ritmo e moralistiche in molte parti.

Prendiamo Io, loro e Lara. A parte il nucleo centrale non proprio originale (vedi “Non pensarci” di Gianni Zanasi), l’andamento, soprattutto nel primo tempo, è rallentato e appesantito, con cadute in banalità da evitare, con l’ambizione di toccare numerosi temi seri, tralasciando magari l’occasione della risata di qualità che l’attore possiede nelle sue corde. Risultato: nella congerie di personaggi e spunti di riflessione sociologici e antropologici, lo spettatore si annoia e la sceneggiatura perde colpi. Sottolineare questi limiti del film non vuol dire sottovalutarne i pregi. Non mancano sequenze godibili (dialogo con la psicologa o cena familiare, dove si ritrova il ritmo felice di alcune celebri comiche), i personaggi sono quasi tutti ben ritagliati, Verdone è grande per verità psicologica in scene di ottima fattura. In esse la sensibilità e la bravura dell’attore romano trovano la via giusta per la sintonia col suo pubblico.

Al centro del racconto due personaggi, un missionario (Carlo Verdone) che ritorna a Roma dall’Africa poiché attraversa un momento di crisi della vocazione, e Lara (Laura Chiatti). Costei è una giovane di origine moldava che, a suo modo e con le contraddizioni di tutte le donne giovani del mondo occidentale, vuole realizzare tra molti casini il sogno di far venire in Italia il bimbo di cinque anni rimasto all’Est.

Attorno a loro ruotano varie situazioni legate ai fratelli del sacerdote, al padre che ha sposato la ex-badante e ad altri personaggi minori. Fatto sta che il protagonista si trova impelagato nei problemi di tutti, nei rapporti difficili tra i membri di una famiglia allo sbando, nella relazione con Lara con cui si trova a “convivere” poiché l’appartamento paterno è stato ceduto alla giovane. In più verso di lei don Carlo prova qualcosa che da sacerdote non dovrebbe.

L’importante è che tutti pensano sopratutto a se stessi e al denaro e che il povero prete è riportato volente o nolente a recuperare in fretta la sua vocazione. Ritornare in Africa dopo un edificante lieto fine con trionfo dei buoni sentimenti è tutto quello che gli rimane da fare. A noi non rimane che aspettare che Carlo Verdone impari a tagliare venti minuti e tre personaggi in meno. Quali? Lo sapremo nei prossimi film. Olga di Comite
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