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RECENSIONE FILM LA FEBBRE

LA FEBBREANNO: Italia 2005

GENERE: Commedia

REGIA: Alessandro D'Alatri

CAST: Fabio Volo, Valeria Solarino, Vittorio Franceschi, Massimo Bagliani, Gisella Burinato, Gianluca Gobbi, Thomas Trabacchi, Paolo Jannacci, Arnoldo Foà, Cochi Ponzoni, Alessandro Garbin, Silvano Agosti, Julie Depardieu.

DURATA: 108 '

TRAMA: Mario Bettini (Fabio Volo), geometra trentenne di provincia, è un giovane ricco di idee, entusiasta della vita e pieno di voglia di viverla. Ha in cuore un sogno: aprire un locale con i propri amici. Dopotutto chi non ha mai sognato di aprirne uno? Per quel locale è disposto anche a vivere una porzione di vita provvisoria, accettando d'indossare panni diversi dai suoi. Così, quando arriva, inaspettata, una lettera di assunzione al comune, Mario decide di accettare l'impiego, anche se in contrasto con il suo spirito. Si imbatte però nello squallore della burocrazia, nei sotterfugi, nel grigiore, nell'umiliazione. Tutto il suo entusiasmo, le sue idee, i suoi progetti saranno vissuti di colpo dal mondo che lo circonda come una malattia contagiosa da curare con urgenza. Ma l'incontro con una ragazza, Linda (Valeria Solarino), gli apre altre prospettive esistenziali e gli dà modo di sognare ancora, non un locale, bensì una patria in cui si venga apprezzati e riconosciuti per ciò che si è realmente...

CRITICA a cura di Olga di Comite: L’ennesimo ritratto di provincia italiana, il luogo dove La Febbre, cioè l’invidia, è molto diffusa e più che percettibile (altrove alligna, ma si disperde nel numero più alto). Questa volta Cremona, città ricca, appartata, cui non manca nessuna delle tante pecche della medietà, dall’ipocrisia alla diffidenza al conformismo alla chiusura, alla - appunto - invidia. Il film, condotto sull’analisi del rapporto tra talenti, lavoro e società, racconta come le potenzialità dei giovani siano in certi ambienti mortificate se non addirittura malviste, in quanto rompono equilibri rassicuranti e santificati. Questo vero spreco di risorse sfocia inevitabilmente in scelte individuali difficili o frustranti, che ingrigiscono la vita e spengono la voglia di partecipare alla crescita collettiva. Il problema è reale, è sentito, ha molte sfaccettature, ma il racconto ci gira attorno con molte distrazioni. Il bersaglio è solo sfiorato e il risultato è deludente rispetto alla grazia e alla profondità non arcigna del precedente "Casomai", dello stesso regista. Poco efficace nella sceneggiatura, troppo dispersivo, banale in molte immagini, moralistico nel pistolotto finale, oscilla tra la storia d’amore (basta con le italian love), la commedia amara, il film di costume, mentre nel linguaggio strizza l’occhio al neorealismo, riveduto e corretto con qualche pizzico di Almodovar e qualche ripresa onirica alla Fellini. Non mancano neppure gli effetti speciali e merita subito una menzione anche la strampalata colonna sonora, poggiata nel primo tempo sulla classica banda cittadina, cantata purtroppo nel secondo dai Negramaro, che ci hanno fatto riconciliare con il Festival di San Remo visto che sono stati scartati alla prima serata. I personaggi sono sostanzialmente inerti, a volte sbiadite macchiette (vedi gli amici del protagonista) e si salvano solo Mario (Fabio Volo), con la sua faccia espressiva di bravo ragazzo, e Vittorio Franceschi, nella parte dell’impiegato comunale vicino alla pensione. Morirà, tragica fatalità, nella prima notte da pensionato, senza potersi dedicare alla tanto agognata vigna. Linda (Valeria Solarino) impersona male e con legnosità la bella calabrese, cubista per necessità ed amante della poesia, oggetto del desiderio del nostro perseguitato protagonista. Lo stesso Arnoldo Foà, attore consumato, mi è parso un po’ trombone e paternalistico nella parte del nostro presidente Ciampi.
La storia è quella di un giovane geometra che, insieme a tre amici, sogna di aprire un locale notturno tutto suo. Vinto un concorso al Comune, si ritrova ad avere un impiego fisso, senza per questo abbandonare il sogno di un cambiamento. Nel nuovo lavoro porta comunque simpatia, capacità tecnica ed organizzativa, quanto basta perchè le sue qualità facciano subito ombra al capoufficio. Invidia e mobbing sono ben presto la ricompensa per l’impegno dimostrato. L’incontro con Linda mette in crisi il rapporto con gli amici e scatena la gelosia e il perbenismo della madre con cui il giovane ha vissuto fino ad allora. Mario è così costretto a rivedere la sua esistenza e a concludere amaramente che il talento paga solo se coltivato in solitudine; spenderlo a vantaggio della collettività è impossibile in un sistema che non premia i migliori, che è oppresso dalla burocrazia, da meschinità e corruzione. Il solo modo di non essere complice è uscirne fuori.
Con i limiti di cui si è detto, il film non è in fondo che una dichiarazione d’amore e rabbia per l’Italia, per dirla con lo stesso D’Alatri. Solo che stavolta l’amore e la rabbia non generano né amore né rabbia. Olga di Comite
VOTO:

SPIGOLATURE

Dice in un’intervista esclusiva alla Rivista del Cinematografo Alessandro D’Alatri: << Il film me lo ha ispirato il Presidente della Repubblica Ciampi... Egli fece un discorso molto bello sulla fantasia, sul coraggio, sull’avere fiducia nelle proprie potenzialità, parole che mi sono rimaste dentro >> . Un altro punto a favore di un Presidente già circondato da affetto e stima. Ma sentiamo un’altra dichiarazione che a me è piaciuta molto (peccato che non mi sia piaciuto altrettanto il film!): << In Italia non si è mai fatto uno sciopero, anche solo di un minuto, per difendere la qualità del lavoro, per restituirgli dignità; sembra che questa cosa non stia a cuore né ai sindacati né al governo nè agli imprenditori >>. Forse c’è una questione di priorità per quanto riguarda i giovani: un lavoro bisogna prima averlo e poi gli si può chiedere di avere qualità... Comunque bene ha fatto D’Alatri a porre il problema.
Dice ancora a proposito di Fabio Volo: << Tornare a lavorare con lui è stata un’esigenza, Fabio è un attore straordinario e in questo film supera se stesso >>. A sua volta, parlando del regista, l’attore dichiara: << Mi piace fare film con D’Alatri perché in qualche modo siamo affini, molte cose le sentiamo uguali” (da Best Movie 04/059).

 

INVITO

Invito alla visione in videocassetta di due precedenti film di D’Alatri: "Senza pelle" (1994), con un ottimo Kim Rossi Stuart e "Casomai" (2001), con Fabio Volo.
Per un altro stile, perché non rivedere anche "Full Monty" (1997) di Peter Cattaneo?
Invito alla visita di due città della provincia italiana, un po’ appartate ma bellissime: Pavia e Cremona, della quale nel film appaiono frequenti scorci. Affascinante la facciata della Cattedrale.

 

PROVOCAZIONI

1. Ci sono tanti talenti sprecati o c’è in giro un po’ di mancanza di talenti?

2. Un lavoro comunque o un lavoro che soddisfi anche un’esigenza di qualità?

3. Tre punti qualificanti di un programma politico sul lavoro oggi (secondo voi).

4. Perché sono tanto di moda in Italia cantanti e complessi capaci di esprimersi solo con urli, vibrazioni e falsetto? E non parliamo dei testi...

 

a cura di Olga di Comite

CRITICA a cura di Chiara F.: Una caffettiera inquadrata dalle interiora è una delle immagini oniriche ritagliate e attaccate con dolce e giovanile malagrazia all'ultimo film di D'Alatri. La naturalezza e la bellezza rimpicciolita della vita in provincia si sposa con il grigiore remunerativo e gratificante di un lavoro arrivato dopo quattro anni, a sorprendere senza enfasi il faccione-faccino sveglio di Fabio Volo-Mario. Il lavoro del candido e umano novello, preso dall'entusiasmo e comunque grato all'altisonanza gravosa, noiosa e necessaria di quella parola e tutto ciò che comporta. Ecco che si integra nell'habitat strano, che conversa con l'anziano collega e stringe legami collaborativi e affettivi con un pizzico di prudenza, mentre gli amici obbligatoriamente "liberi" gli ricordano i sogni e il locale da aprire, ed eccolo ancora innamorarsi bucolicamente di una studentessa dagli occhi intelligenti (una cubista? Scusate l'incredula grettezza), finchè non subentra l'odio e l'invidia da mondo degli adulti, ovvero la demenza senil-puerile che cercano di propinarci come tale. Rilevanza particolare al pop italiano dei Negramaro, contestualmente più valoroso e originale di quanto non sia. Un'ampiezza visiva interessante, ormai fattasi cifra stilistica, che si colora di scuro nelle visioni-riflessioni condite di dignità e rivincita e pienezza acquisita e intrinseca. I personaggi di Alessandro D'Alatri vivono di luce propria, una luce flebile, poco appariscente e reale, resistente alle intemperie. Una verve insolita e venata di tristezza e anomalie (si pensi a "Senza Pelle") forse persa in parte nei meandri di un viaggio temporale inflazionato nel precedente "Casomai". Qui il tono "medio" e non mediocre degli eventi ritorna, ritorna quell'esperienza dialogante e lenta costruita attorno ai gesti del carattere, che forse avrebbe dovuto aggrapparsi con forza a quella camminata post-duello degli ultimi minuti e sceglierla come finale, prima di impantanarsi nello zucchero, di classe ma pur sempre stucchevole, di quello definitivo. Chiara F.
VOTO: 7

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