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RECENSIONE FILM MINE VAGANTI

MINE VAGANTICRITICA a cura di Olga di Comite: E’ probabile che l’aver ritrovato nel film i miei luoghi e intatto il fascino delle pietre color oro morbido e dei tronchi espressivi e secolari degli olivi pugliesi, nonché lo smeraldo del mare, mi abbia disposto a una visione da spettatrice emozionata e partecipe.

Ma ciò non toglie che quest’ultimo, sia insieme al primo (Le fate ignoranti) uno dei film migliori del regista turco. Perché esso sembra autentico, scritto con naturalezza, anche con alcune pecche di sceneggiatura, magnifico nell’uso degli attori, commosso in quanto l’autore mostra anch’egli di aver ritrovato, nel farlo, qualcosa di profondamente suo. Tutto questo ce l’ha trasmesso con chiarezza e divertita ispirazione. Pur con qualche punta retorica, con qualche stonatura (la figura del padre simpaticissima è di un maschilismo anacronistico nel sud dei benestanti attuali), la narrazione svolge con disinvoltura e piena libertà mentale un tema impegnativo al di là dei momenti farseschi o volutamente scorretti sessualmente e sociologicamente.

La tesi è semplice: nessuno può imporci o stabilire per noi che cosa vogliamo essere nella vita. Nostra la scelta, nostra la responsabilità. Tutto è legittimo, niente è anormale nell’essere se stessi, perché anche i disagi che i nostri desideri o comportamenti possono creare in altri a noi cari, non valgono l’amarezza, l’ipocrisia, la slealtà sostanziale dell’aver abdicato alla propria identità. La realtà, a cominciare da quella familiare, come Ozpetek ce la presenta, è sfaccettata, le storie di ognuno diverse, le pulsioni più autentiche spesso insondabili.

Dietro apparenze e regole e perbenismo si celano drammi che possono portare ad eccessi che incrinano la facciata (la zia alcolista), a una saggia rassegnazione (la nonna che custodisce l’anima della famiglia), a un furore nascosto che corrode i sentimenti e rende difficili le relazioni (la giovane e bellissima Alba). Accanto a queste riflessioni c’è poi quella abituale per il regista sulle scelte omosessuali.

Questa volta però, accanto ai dolori e alle tensioni generate dalla non accettazione dei genitori, l’autore non disdegna di dipingere anche il gruppetto “frocio”, preda di stereotipi come quello sulla lite per la maglietta da indossare, quello sulle competenze modaiole o sull’istinto al ballo sculettante. Egli dimostra così di essersi liberato, lui per primo, dalla paura di rappresentare un quadretto fuori regole, che ostenta le sue preferenze sessuali anche esagerando fino alla macchietta. Ma come negare che nella realtà esista anche questo?

Della trama non anticipo nulla, visto che da uno svelamento iniziale prende il via tutta l’azione. Dico solo che questa volta si parte da una tavolata a famiglia riunita più il nuovo socio che amplierà il business del pastificio, visto che il padre vuole lasciarne la guida ai figli maschi che peraltro conosce molto poco. Chi ama questo regista sa che, posta in genere nel mezzo del racconto, una tavola apparecchiata non manca mai ed è un grumo di socialità attorno al quale si condensano o si sciolgono nodi di ogni genere.

Mine vaganti non fa eccezione, poiché tutto comincia da una mina che sta per essere disinnescata. Per concludere, 8 alla musica e alla fotografia, 10 al cast interpretativo e alla sensibilità nel guidarlo di Ozpetek. Olga di Comite
VOTO:

 

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