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RECENSIONE FILM ONORA IL PADRE E LA MADRE BEFORE THE DEVIL KNOWS YOU’RE DEAD

ONORA IL PADRE E LA MADRECRITICA a cura di Olga di Comite: Il fratello uccide il fratello, il padre uccide il figlio e molto di più: c’è da pensare alla Bibbia o alla tragedia greca per non dire di Shakespeare, Alfieri e altri. Solo che nel film alla radice di tutto non c’è il volere di Dio o del Fato, ma, conformemente ai tempi che corrono, il Denaro. Padre e madre non solo non vengono onorati, ma contano meno dei debiti che figli “scapestrati” contraggono con banche e usurai.

E’ strano come oggi da una parte si cerchi di recuperare, in buona fede o in forme spesso melense, i cosiddetti valori familiari e dall’altra si assista a una “fioritura” di drammi quotidiani grondanti sangue e violenza. Non c’è quindi da stupirsi che un partecipe indagatore dell’etica o, meglio, della non-etica contemporanea come Sidney Lumet abbia affrontato questo tema, alla bella età di 82 anni, nell’ennesimo prodotto di una lunga carriera costellata da successi e, ovviamente, da opere di tono minore. Un bilancio di circa 40 film di cui i più noti sono L’uomo del banco dei pegni, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Trappola mortale, Il Verdetto.

Dalla visione di Onora il padre e la madre si esce con un’angoscia secca che niente ha della funzione catartica della tragedia classica. E sullo sfondo ancora una volta l’amatissima e detestata New York, con inquadrature nette e dilatate da una o due macchine da presa che seguono nei minimi dettagli le azioni più drammatiche, una struttura “stop and go” che mette a fuoco con un ritmo a base di ritorni all’indietro e di balzi in avanti, i quattro giorni prima e i sette dopo il fatto centrale del racconto.

Si tratta della rapina che i protagonisti della storia (due fratelli come nell’ultimo film di Allen altrettanto pessimista) effettuano ai danni della gioielleria dei loro anziani genitori. Il maggiore, Andy, è un dominatore, almeno in apparenza, ed è riuscito a diventare un broker di un certo successo; in realtà è succube della droga e sta perdendo la moglie che, a sua insaputa, lo tradisce col fratello, più seducente sul piano fisico. Il minore, Hank, non ha spina dorsale, viziato sin da piccolo è rimasto un debole non cresciuto che ha sempre invidiato la presunta forza del fratello. Pieno di debiti non riesce a mantenere nemmeno gli impegni finanziari presi con la ex moglie e la figlia. Il piano di Andy sembrerebbe funzionare perfettamente: nella gioielleria al momento del colpo ci sarà solo un’anziana impiegata, i genitori saranno risarciti dall’assicurazione, loro venderanno i gioielli ad un ricettatore. Insomma un lavoro pulito con un’arma-giocattolo. Ma si sa che basta poco per far inceppare meccanismi che non tengono conto degli errori e delle emozioni umane.
Così niente andrà come previsto e la situazione precipiterà verso esiti a dir poco tragici.

Tra gli attori, diretti con immutata bravura dall’anziano maestro, si annoverano due mostri sacri: uno di oggi, Philip Seymour Hoffman, visto di recente ne La famiglia Savage, e qui nel ruolo del fratello maggiore, attore di una fisicità prorompente ma capace anche di sottigliezze alla Mefistofele. L’altro, del passato, è Albert Finney nel ruolo del padre, impacciato e ferito, con gli occhi pieni di orrore. Anche i comprimari sono all’altezza della situazione e tutto contribuisce a tenere alta la tensione del film. Se un limite c’è, è proprio questo, l’insostenibile pesantezza della storia. Olga di Comite
VOTO:

 

CRITICA a cura di Gianni Merlin: L’ultraottantenne Sidney Lumet con questa sua (speriamo a questo punto di no) ultima creazione mette d’accordo sorpresi dell’ultima ora e vecchi fans oramai assopiti con un’opera temeraria, densa di violenza e di materia apparentemente ostica, ma di grosso spessore cinematografico, in quanto bisogna ammettere che “Onora il padre e la madre” è proprio un gran bel film, centrato, pienamente riuscito in virtù della sua capacità quasi naturale di iniziare e chiudere il cerchio sia dal punto di vista narrativo che da quello metaforico sui temi affrontati.

In effetti, in questa rappresentazione terrena ed attuale della tragedia greca applicata ad una famiglia standard (?) americana vi è il filo pesante ed incombente di una moralità atemporale, come se forze divine segnino inevitabilmente il gioco delle parti, facendo sì che fatti ed azioni scaturiscano da un destino inesorabile, una specie di condanna a cui tutti siamo sottomessi.

Risulta così chiaro che i due figli Hanson “devono” fare la rapina ai genitori, in quanto l’uno, Hank (bravo Ethan Hawke in una parte per lui poco credibile), un vero fallito incapace di tenere a bada moglie e figlia ha bisogno tangibile di denaro, mentre l’altro figlio Andy cerca nel gesto violento del furto un motivo di redenzione personale. In effetti, la figura del fratello maggiore Andy è sia fisicamente che in senso figurato il cuore del film, personaggio che include in sé tutta la forza e la strazio di una vita anomala, vissuta dentro un altro corpo, in un certo senso drogata, più di quanto non lo si faccia vedere, in quanto naturalmente soggetta a vedersi al di fuori di sé stessa, incapace di stabilire rapporti normali di lavoro e sentimentali pur essendo pienamente inserita in un contesto sociale e professionale. In questo senso, Philip Seymour Hoffman fornisce qui ancora un’altra prova magistrale di interpretazione, che dimostra anche ai più cechi diffidenti come siamo di fronte ad un fuoriclasse della recitazione, uno sul quale in ogni circostanza si può scommettere a scatola chiusa.

E’ chiaro l’intento di Lumet di caricare su di lui le tensioni familiari che sono in nuce e che fanno girare il film verso territori di ferocia, in quanto dentro ad Andy ribollono tutte le ansie di una esistenza sbagliata, gestita da una volontà non sua, da una conduzione estranea che lo porta a disconoscere tutto quello che gli sta intorno; peraltro, su Hoffman si concentrano tutte le battute chiavi di una sceneggiatura tosta quanto serve e i momenti cinematografici migliori, come quando Andy si aggira nell’appartamento del pusher ammirando lo skyline, perso nei suoi drogati e fumosi pensieri di vendetta, forse l’unico suo momento di serenità interiore.

C’è da dire, ad onor del vero, che la visione completa di questo “Onora il padre e la madre” (qui la parentesi è dovuta in quanto siamo di fronte ad un altro scempio di traduzione, mille e miglia lontano da quel Before the devil knows you’re dead, così caustico e felice per il tema trattato) risulta a volte pesante, la violenza può sembrare eccessiva specialmente ad uno sguardo che non sia americano, ma Lumet evidentemente conosce bene quelli che sono i meandri dei misteri che animano l’animo umano, come in effetti spesso la violenza sia solo la manifestazione esterna di un bisogno inespresso di amore, una specie di comandamento che gioco forza porta ad altra violenza riparatrice a cui non c’è scampo. Gianni Merlin

 

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