CRITICA a cura di Nicole Braida: Charlie Kaufman è innanzitutto uno scrittore, capace di mescolare parole e immagini, di rendere le parole immagini e le immagini parole. Gioca con entrambe.
In Synecdoche, film non ancora uscito nelle sale italiane, la realtà si fa finzione, ma la stessa finzione finisce per essere la realtà. Realtà e finzione si mescolano per creare un “pout pourri” irreale e grottesco, come una riflessione infinita tra specchi che riproducono l’immagine reale, ma ripetendola in questo gioco senza limite fino a distorcerla completamente.
Caden Cotard è un autore teatrale, pervaso dall’ipocondria, morto e vivo allo stesso tempo, caricatura di se stesso. Lasciato dalla moglie, un’artista che dipinge quadri in miniatura e che scappa a Berlino con la figlia. Insignito di un prestigioso quanto cospicuo premio, intraprende un progetto assurdo: inizia a costruire una città nella città, cercando di ricreare la sua vita passata e di riportare nella finzione ciò che non vi fa più parte, perché nel passato. Gli attori diventano così pian piano protagonisti della sua vità, fino a comandarla, finchè egli stesso si trasforma in protagonista di una finzione che non ha più alcuna realtà a cui appoggiarsi, ma riflette all’infinito proiezioni del passato.
Il tempo scorre senza che ce se ne accorga: “Even though the world goes on for a fraction of a fraction of a second. Most of your time is spent being dead or not yet born. But while alive, you wait in vain, wasting years, for a phone call or a letter or a look from someone or something to make it all right” (“Sebbene il mondo avanza di una frazione di frazione al secondo, la maggior parte del nostro tempo è spesa nell’essere morti o non ancora nati. Ma mentre si è vivi, si aspetta, buttando via anni invano, per una chiamata o una lettera o uno sguardo da qualcuno o qualcosa che metta le cose a posto”).
Le emozioni si fanno malattie reali, le immagini oniriche diventano vita reale. L’unico modo per rappresentare la vita è inscenare quell’unico giorno, quello in cui si è stati più felici.
Charlie Kaufman, già noto per la sceneggiatura di “Essere John Malkovich” e “Se mi lasci ti cancello”, scrittore di se stesso in “Il ladro di Orchidee” interpretato da Nicholas Cage, è capace di farci sentire schiaffeggiati, amareggiati, impauriti. Ci fa addentrare attraverso i nostri più profondi sentimenti, nel turbine della malinconia, nell’attesa vana di quella decadenza, di quell’autunno universale, come dello sfiorire di una rosa mentre lenta perde i suoi petali. Nicole Braida
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