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RECENSIONE FILM VOLVER

VOLVERANNO: Spagna 2006

GENERE: Commedia

REGIA: Pedro Almodovar

CAST: Penelope Cruz, Laola Dueñas, Blanca Portillo, Carmen Maura, Yohana Cobo, Chus Lampreave, Yolanda Ramos, Leandro Rivera, Antonio De La Torre, Natalia Roig, Concha Galán, Carlos García Cambero, Carlos Blanco, Isabel Ayucar, Eli Pranzo, Fany De Castro, Alfonsa Rosso, Elvira Cuadrupani, Pepa Aniorte, Neus Sanz, María Isabel Díaz.

DURATA: 120 '

TRAMA: Madrid. Raimunda (Penélope Cruz) è una gran lavoratrice, fanatica della pulizia, che sopravvive a un marito fannullone e alcolizzato e si prende cura della figlia adolescente. Sua sorella Sole (Lola Dueñas), invece, è separata dal marito e sbarca il lunario come parrucchiera abusiva. Le due donne sono orfane, hanno perso entrambi i genitori durante uno dei tanti incendi provocati dal "solano", il vento che devasta La Mancha, il loro paese d'origine e dove vive l'anziana zia Paula (Chus Lampreave) - sorella di Irene (Carmen Maura), la madre delle due donne - che da qualche tempo si comporta in modo insolito. Paula parla di Irene come se fosse viva, mentre è morta da anni, e nel quartiere giurano di aver visto il suo fantasma aggirarsi in casa di Paula. Quando il cuore di Paula smette di battere, incominciano ad accadere cose strane, qualcuno ritorna, qualcuno sparisce e la vita di Raimunda e le altre non sarà più la stessa...

CRITICA a cura di Olga di Comite: Si potrebbe dire che tutta la vita è un ritorno che si conclude, morendo, nella terra da cui proveniamo e in ogni singola esistenza ci sono tanti modi di ritornare: a qualcosa, a qualcuno, a un tempo, a uno spazio. Per Almodovar questo ultimo film è percorso dal vento come simbolo di disordine e di magia, dal ricordo dell’infanzia, dalla madre, dalla Mancha amatissima e da fantasmi inautentici ma veri. E poi c’è l’altra famiglia: le donne dei suoi film con un ritorno d’eccezione, dopo diciassette anni, quello della bravissima Carmen Maura. E’ toccato a lei interpretare la figura materna in questa circolarità di storie e di attrici tipiche del nostro. Così come ritroviamo nella narrazione una canzone, Volver, che è il filo conduttore ed emotivo nonché la citazione di un cinema del passato, quello italiano delle pellicole anni ’50 a cui si ispira anche il trucco e la recitazione di una sensuale e carnale Penelope Cruz. La disinvolta maestria con cui il regista mescola generi, emozioni, colori, è anch’essa ormai un topos di tutta la sua produzione. Pur essendo affascinata dai personaggi femminili, ho trovato però in Volver qualcosa di trito e ripetuto, che non eguaglia la grandezza compiuta di "Parla con lei" e di "Tutto su mia madre", in cui l’autore spagnolo raggiungeva una misura (sempre relativa al suo modo personalissimo di narrare) e una raffinatezza che non compare in questa girandola di legami e di toni narrativi, anche un po’ datati. Tuttavia di fronte a certi prodotti presuntuosi e senza stile, sarebbe ingeneroso sottolineare oltre, le pecche di quest’opera; basterebbero le scene iniziali nel cimitero, la descrizione psicologicamente efficacissima dell’intimità fra donne, i colori spenti e ombrosi delle vecchie abitazioni della Mancha a farne qualcosa di non mediocre o insopportabilmente di consumo.
Al centro del racconto tre generazioni di donne. Una combattiva ma dolce, Raimunda (Penelope Cruz) che conserva un terribile segreto a cui è costretta a “ritornare”, la sua figliola Paula nel mezzo della sua difficile adolescenza (Yohana Cobo), Sole, sorella di Raimunda (Lola Duênas) e la madre-nonna delle tre, Irene, (una invecchiata ma ancora maliziosa Carmen Maura). L’intreccio dei fatti, che sfiora il noir, il mèlo, il film d’azione, alla fine si ricompone attorno al tavolo della vecchia casa dell’infanzia, ma un vero finale non c’è. Tutto rimane aperto e non esclude altri “fantasmi”, altri ritorni, altri colpi di scena. Attorno alle protagoniste, agiscono poi figure ritagliate come un coro, vedi scene a sfondo sociologico dei riti funebri o delle relazioni di vicinato. Tra tutte emerge la figura di Augustina (Blanca Portillo), che è anche la più legata alla suggestione del mistero e delle antiche superstizioni.
Dopo questo ritorno al suo passato d’autore e alla sua infanzia, speriamo ora in un film di “futuro” che ci regalerebbe un Almodovar tutto nuovo... Olga di Comite
VOTO:

CRITICA a cura di Gabriela Saraullo: Tre generazioni di donne sopravvivono al vento, al fuoco, alla pazzia, alla superstizione e persino alla morte, grazie alla sensibilità, all’esagerazione, alle bugie e ad una vitalità senza limiti.
Le storie di Almodovar sono quasi sempre concentrate sul mondo femminile, ma questa volta la loro presenza è schiacciante; inoltre, l’unico ruolo maschile è quello più banale e spregevole.
La storia si svolge in quel margine di vita che rimane alle donne quando vengono abbandonate, disprezzate o non suscitano più interesse; questo vuoto le donne lo riempiono con le proprie madri, sorelle, figlie, amiche e vicine. Tutte queste protagoniste compongono il mosaico che svela l’idea che Almodovar ha dell’universo femminile: un mondo parallelo non sufficientemente valorizzato.
Volver è un delizioso affresco di vita reale, un ritratto della quotidianità dove sono presenti le invidie, i rancori, i tafferugli tra sorelle, il lutto, i cellulari, gli affetti e le bugie. Un ritratto della Spagna più tradizionale, del quartiere e del paesino, delle persone e delle loro abitudini.
L’insostenibile si trasforma in quotidiano, le due sorelle iniziano una fuga verso il futuro sopravvivendo a situazioni cariche di tensione, melodrammatiche, comiche ed emozionanti. Le due donne trovano le soluzioni grazie ad una buona dose di spavalderia e di menzogne senza contegni.
E’ una storia di sopravvivenza, incluso il fantasma della mamma. C’è una continua riflessione sulla morte sulla quale si basa il film, così come sulla vita delle persone nel paesino della Mancha. Praticamente tutte le azioni e i fatti che vivono i protagonisti sono condizionati dalla morte, quella dei cari e la propria futura; difatti quasi tutti i protagonisti vivono nel passato.
Almodovar riesce a rattristare all’interno della riflessione, ed è per questo che una scena può provocare una risata e lacrime al tempo stesso. Coniuga commedia e provincialità, realismo sociale, il melodramma e l’intrigo, con qualche spennellatura di fantastico e umore nero, dimostrando la sua padronanza nell’intrecciare diversi generi, creando in circostanze drammatiche dialoghi pieni di ingegno e comicità, dove vivi e morti convivono senza darsi fastidio.
E’ una storia popolata da tanti personaggi, un microcosmo stravagante, un paese della Mancha che ride delle proprie superstizioni e che affronta con naturalezza la gravità della morte. Questa volta il regista ha il pregio di rendere interessante la quotidianità, di aver scritto un’avventura domestica e di farci immergere nel suo universo.
I piani sequenze di Almodovar, studiati al millimetro, sono dei quadri con vita propria. L’abbigliamento delle sorelle anticipa l’accento colorato e luminoso che dominerà in tutto il film così come i suoi simboli tipici: la maternità, gli ospedali, i vicini, ecc.
Ci regala un opera corale composta da straordinarie protagoniste, permeate di profonda intensità nella quale si distingue una eccezionale Penelope Cruz, che interpreta una lavoratrice instancabile e forte, una lottatrice, ma al tempo stesso una persona fragile sul piano emotivo e con un terribile segreto.
E’ un film emozionante, realizzato con intelligenza e libertà assoluta proprio per liberare, attraverso i dialoghi, le cose su cui riflettiamo ma che quasi mai diciamo.
Almodovar non è andato via... ed è una fortuna che continui a "tornare". Gabriela Saraullo
VOTO:

   
 
 
   
 

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